Open dialogues: Cristina Barbieri

a cura di Margaret Sgarra, curatrice di arte contemporanea

Cristina Barbieri è un’artista visiva nata a Reggio Emilia, città nella quale si diploma come Maestro d’Arte nella sezione”Oreficeria-Metalli”, e dove consegue una specializzazione in Scultura in Marmo. A partire dal 2022 comincia a interessarsi alla bioarte e alla biodiversità. Questa passione la porta a intraprendere un’indagine verso la micologia, tematica oggi centrale della sua ricerca e della sua poetica artistica.

 

Un aspetto fondamentale nella tua ricerca artistica è rappresentato dal rapporto con la materia, intesa come organismo vivente di cui prendersi cura. Come sei entrata in contatto con il micelio e cosa rappresenta per te?

Sono portata a credere che spore di un qualche fungo micorrizico, ossia che vive in simbiosi, mi abbiano intercettata e scelta per testare le potenzialità della loro specie sull’uomo. Secondo Richard Dawkins, biologo saggista, divulgatore scientifico e attivista britannico, i geni non forniscono solo le istruzioni per costruire il corpo di un organismo, ma anche certi comportamenti attraverso una propria espressione esteriore comunemente conosciuta con il nome di fenotipo. Il nido di un uccello è quindi il fenotipo di quell’uccello, la diga di un castoro è il fenotipo di quel castoro. Seguendo questo ragionamento allo stesso modo la mia arte, espressione esteriore di me stessa, è di conseguenza il fenotipo di una relazione simbiotica che io e quel fungo abbiamo sviluppato insieme. Sono certa che anche Terence McKenna sarebbe d’accordo con me!

Interagendo con un organismo così imprevedibile, come ti rapporti con la creazione artistica e l’opera d’arte che prende forma?

Uso i sensi per entrare in connessione con loro e, con gesti rituali compiuti con intenzione, li chiamo affinché si rivelino a me fondendo i loro corpi sottili con le mie movenze, come in una danza la cui coreografia sprigiona energia creativa. In questo la magia, anch’essa un’arte, mi aiuta a tenere tutto unito. Imparare una tecnica è un conto, riuscire a gestire la materia un altro, padroneggiare questo tipo di elemento, diverso ancora. Qui si parla di corpi sensibili e occorre il giusto approccio. Il mio lavoro è il risultato di quella che a tutti gli effetti è una vera e propria cooperazione, mai improvvisata, con un organismo vivente. A volte ho la sensazione di non essere padrona di ciò che creo, quanto piuttosto di essere alle dipendenze di qualcuno o qualcosa che più semplicemente mi guida. Ho accettato il fatto che non ci siano regole, che non posso averne il controllo.

All’interno del tuo lavoro è presente una dimensione performativa. Cosa pensi di questa modalità di espressione artistica e quale importanza ha all’interno del tuo percorso?

È una parte importante che rappresenta l’esigenza di creare un filo conduttore tra la vita che si muove nascosta nel substrato della terra come quella dei funghi, e la vita che si svolge in superficie come quella dell’uomo. Attraverso il mio corpo propongo un linguaggio che possa mettere in comunicazione queste due realtà e in ascolto il fruitore.

Quando senti che un’opera d’arte o un’azione performativa è giunta a compimento?

Mai! Sono quella del ritocco dell’ultimo momento, oltre a essere una eterna insoddisfatta. Qualsiasi mio lavoro non è mai del tutto finito per me. Di fatto, è così.

Per quanto riguarda il rapporto con il pubblico, cosa ti piacerebbe comunicare attraverso i tuoi lavori?

La natura è in grado di ispirare il nostro stile di vita, soprattutto cerebralmente. Da quando ho cominciato a studiare, conoscere e lavorare con materiale organico, ho iniziato a non sentirmi più sola, non sola al mondo. Al contrario, ho capito che ogni cosa è davvero connessa all’altra. Soprattutto che la vera inclusione sta proprio nella capacità di riconoscere e accettare la diversità. Questo vorrei riuscire a insegnare e a trasmettere, più che a comunicare. Inoltre, come futura micologa, vorrei regalare alla micologia la possibilità di non esser vista solo come una scienza da studiare in laboratorio in modo schematico e analitico, senza sminuirne assolutamente l’importanza. Bensì vorrei tentare di elevarla a un livello in cui la scienza, l’uomo e l’arte possano fondersi, dando origine a qualcosa di eterno e immortale: l’energia.

Quali sono i tuoi artisti di riferimento e perché?

A ispirarmi è sempre senza dubbio la natura, ma attingo moltissimo anche dall’arte greca e dalla cultura Sciamanica. Se invece parliamo di arte contemporanea, uno su tutti ha la mia totale ammirazione, ed è colui il quale mi ha aiutata ad andare nel profondo della mia essenza, per scoprire come raggiungere quella luce, quella illuminazione perpetua, colui il quale mi ha insegnato a vedere al buio: Alberto Burri.