a cura di Valentina Biondini, appassionata di arte e letteratura
Qual’è il colmo per un visionario della calamità come io sono stato definito? Morire? O peggio ancora sparire misteriosamente in una delle campagne militari condotte durante quella che, per l’appunto, è stata una fra le più cruente calamità della storia dell’uomo, la Seconda guerra mondiale? Ma andiamo con ordine. Il mio nome è Franz Sedlacek e, a torto o ragione, sono stato uno dei principali artisti austriaci attivi tra le due guerre mondiali.
Nato in Polonia sul finire dell’Ottocento, ho avuto però l’opportunità di crescere e vivere nella prospera città di Linz, in Austria. Ho esercitato la professione di chimico presso il Museo della Tecnica della mia città di adozione di cui, in seguito, sono diventato anche direttore del dipartimento di chimica industriale. Parallelamente, nel tempo libero e da autodidatta, assecondavo la mia predilezione per l’arte, o meglio la mia ostinazione a diventare disegnatore e pittore. Proprio in questa veste, e ancor giovanissimo, sono stato tra i fondatori, con Anton Lutz e Klemens Brosch, dell’associazione di artisti Maerz di Linz e, poco più avanti negli anni, ho preso parte alla Secessione Viennese, gruppo con cui condividevo l’idea di creare forme d’arte originali non vincolate al passato.
Il mio lavoro, carico di mistero e fascino, appariva sempre in bilico tra la gioia infantile e l’oscurità opprimente. Un pittore anomalo come me era dunque difficile da classificare, anche se per convenzione sono stato associato al movimento della Nuova Oggettività (Neue Sachlichkeit), una corrente simile al realismo magico italiano e molto vicina al surrealismo. Eppure, nel corso della mia attività artistica ho vinto diversi premi nazionali e internazionali. Mentre nel 1930 i miei dipinti sono stati esposti al MoMA. I miei quadri così geniali, imprevedibili, caratterizzati da un’insolita ironia, a molti nei tempi a seguire sembreranno anticipare un certo gusto e un certo stile moderno, e preannunciare addirittura la cultura della street art e del comic.
Le mie opere infatti, popolate di esseri bizzarri e caricaturali, all’insegna del misterioso e dell’inquietante, sono state ascritte all’arte grottesca e fantastica. Tuttavia il carattere onirico e irreale dei miei primi dipinti contrastava prepotentemente con i contorni netti, lisci e nitidi dei soggetti in essi raffigurati. Ed era proprio questo contrasto ad avere la capacità di turbare l’osservatore. Tutto ciò non mi stupisce perché devo ammettere di aver sempre subito il fascino del perturbante, di essere sempre stato attratto da quel sentimento del pericolo che il Romanticismo definiva con il termine aulico di sublime. Del resto basta poco per suscitare orrore, basta creare delle figure fantastiche alla cui base ci sono sempre forme di organi naturali che proliferano o che si atrofizzano.
In seguito invece mi dedicai alla pittura a olio e rivolsi la mia attenzione allo stile degli antichi maestri svedesi. Ecco che i soggetti dei miei quadri passarono dalle danze spettrali e dalle atmosfere minacciose a ampie e più quiete vedute desertiche. Questi paesaggi, sebbene non del tutto elegiaci, esemplificavano la mia urgenza di rappresentare temi legati alla solitudine dell’individuo e all’alienazione umana.
Mio malgrado non sono stato solo chimico e pittore. Sono stato anche soldato e, tra Primo e Secondo conflitto mondiale, trascorsi quasi otto anni della mia vita in trincea. Nel 1939 mi arruolai nella Wehrmacht, le forze armate unificate della Germania nazista. Ma cercate di non giudicarmi troppo per questo, ero cresciuto in un ambiente nazionalista e antisemita che, per forza di cose, mi aveva plasmato e influenzato. Il mio coinvolgimento ideologico nella propaganda nazista però rimane in qualche modo indefinito. Infatti i codici del surrealismo e del simbolismo che ho utilizzato nelle mie opere mi hanno permesso di esprimere, attraverso i soggetti che passavano dal sogno all’incubo, i miei pensieri angosciosi sulla situazione dilagante, di raccontare le mie esperienze reali, senza rischiare di avversare il regime.
Proprio nell’ultimo anno di guerra, il 1945, nella stessa terra polacca che mi aveva visto nascere anni prima, si persero le mie tracce. E fu così che sparii, solo e alienato come i personaggi delle mie opere sospese tra sogno e incubo. Il mio corpo non è mai stato rinvenuto. Ma le mie opere visionarie sono tutt’ora visibili al Leopold Museum di Vienna.