intervista a cura di Romina Ciulli e Carole Dazzi
Le opere dell’artista Franco Nicolosi nascono da una profonda riflessione intimista. Una sorta di continua interconnessione sensoriale con la materia che si traduce in processo creativo inaspettato, seppur meditativo. Una pratica esperienziale, caratterizzata da forme dai tratti inconfondibili, sinuosi e ritmati. Forme che sembrano sospese tra passato e presente, ma che si aprono a un dialogo costante e duraturo. Ecco allora vasi e disegni realizzati con materiali diversi, fra cui l’argilla, la grafite, il legno o la ceramica. E, sebbene ogni opera segua un percorso specifico diverso, tutte alla fine si intrecciano nuovamente, innescando riflessioni su concetti come la doppiezza, il simbolismo, la consapevolezza e la trasformazione
Un’arte riflessiva, onirica, armonica, che ritroviamo in opere come Contenitore tragico (2024), Riflessioni di Superficie (2024), Flussi (2022), fino all’opera Fritz, un elefante a corte (2015). Parliamone con l’artista.
Le tue opere emergono attraverso un inusuale dialogo con la materia. Le forme o i segni, infatti, sembrano sedimentare in uno spazio astratto, quasi onirico, per poi concretizzarsi in gesti di trasformazione e disvelamento. Puoi raccontarci di come si innesca il tuo processo creativo?
Il mio processo creativo a volte nasce da una visione, mentre altre volte nasce durante le fasi pratiche di realizzazione di un disegno o di una scultura. E’ sicuramente un processo lento, una sorta di distillazione, nel quale tutti gli elementi subiscono una specie di smaterializzazione che consente poi loro di ricomporsi in forme nuove. E’ un processo che non sempre, anzi di rado, giunge a compimento, costringendomi sempre a ricominciare dall’inizio.
Scultura e disegno sono le tue pratiche artistiche privilegiate. Da una parte, dunque, l’argilla con la sua essenza materiale, plasmabile; dall’altra la grafite con i suoi segni instabili, seppur domabili. Quali differenze caratterizzano queste due atti creativi?
Il disegno è sicuramente la mia fonte nutritiva, esplorativa e ideativa. Nel disegno tutta la forza del gesto può deflagrare, e il piccolo spazio del foglio diventa un universo di energia nel quale le linee collidono le une contro le altre. Il segno allora diventa confine valicabile attraverso il quale far danzare le forme. Nella scultura, seppur più plastica e tangibile, prende forma l’inconsistente e si concretizza una visione, a volte astratta, degli oggetti che circondano l’essere umano.
Le tue opere scultoree spesso si confrontano con tematiche legate al tempo, in particolare al passato e al futuro, come in Contenitore Tragico (2024) o ON – E FUTURE – Bottle I/01 (2023). Attraverso simboli di consumo contemporaneo la scultura diventa così uno spazio per raccontare, e unire, esperienze differenti e lontane fra loro. Quanto il concetto di tempo e spazio incide sul tuo lavoro?
Lo spazio, il farsi spazio della scultura, assieme al tempo sono i due concetti base del mio fare arte. Sono molto affascinato dalla capacità di raccontare lo spazio e il tempo del pittore Francis Bacon che cristallizza sulla tela questi concetti a me cari. Il confine di uno spazio o di una superficie unisce o divide, contiene e isola; ma spesso permette la migrazione e favorisce il passaggio e la trasformazione. A volte, nella mia mente, passato, presente e futuro entrano in dialogo attraverso linee, forme e oggetti. Nell’immaginazione, come nel sogno, la dimensione del tempo entra in relazione con lo spazio, costruendo una forma a quattro dimensioni.
L’acqua è un altro motivo costante della tua ricerca artistica. In disegni come Ramificato (2022) o Vortice (2022) questo elemento sembra confondersi con la materia stessa, per poi esplodere violentemente in vortici fluttuanti e in qualche modo liberi, pulsanti. Puoi spiegarci perché l’acqua ha un ruolo così importante nelle tue creazioni?
Dell’acqua apprezzo la sua forza lenta ma inesorabile, la sua capacità di modellare materiali anche grazie alla sua struttura chimico-fisica, e dunque agli infiniti spazi che essa può abitare. L’acqua è un elemento terrestre capace di connettere tutti gli elementi del nostro Pianeta. Dell’acqua apprezzo inoltre la sua capacità di essere specchio impalpabile ed effimero nel quale il riflesso ne conserva l’inconsistenza e la fluidità. L’acqua genera riflessi dinamici che trasfigurano i corpi.
Parliamo dell’opera Riflessioni di Superficie (2024). In questo caso è stato usato il legno per intagliare linee sopra altre linee in modo da creare qualcosa di completamente nuovo. Puoi parlarci di come hai realizzato questo lavoro e perché hai scelto proprio questo materiale?
Sono cresciuto immerso nel legno, con le mie piccole gambe di bambino che affondavano letteralmente nel segatura, respirando le essenze resinose di tavole di pino e abete all’interno del laboratorio di mio papà. Amo questo materiale perché, al contrario del duraturo marmo, è in continua e perenne trasformazione e, grazie alla sua grandezza limitata, mi costringe a operazioni di assemblaggio che condizionano in maniera inaspettata e stupefacente la forma finale dell’opera d’arte. Giunture, variazioni di venatura e colore, crepe e fenditure trasformano la scultura, portandola a nuova vita.
Un altro aspetto che emerge dal tuo modus operandi è quello della duplicazione delle forme. Una sorta di sguardo doppio che permette di osservare le immagini come in uno specchio, prima separandole, poi riflettendole in un qualcosa di nuovo, di unico. Quale ruolo ha questo tipo di visone nella concezione di una tua opera?
Lo studio infinito della forma è nascosto nei processi di riproduzione. Ricopro con il gesso l’argilla cruda creandone così il calco, l’impronta, dove ciò che è una massa diventa un vuoto. Amo le sostanze e i materiali metamorfici, ovvero quegli elementi che sono in grado di essere modificati e plasmati in un gioco quasi infinito, che conduce le forme a delle soluzioni estreme e inaspettate. Il lavoro di formatura e di duplicazione delle opere scultoree mi permette sempre di passare dall’altro lato dello specchio e di osservare la forma in modo nuovo. Sono sempre pronto a farmi sorprendere dalla meraviglia che si disvela sotto la superficie di uno stampo. Se il prodotto della scultura è definito, tutti i processi di produzione e replica non lo sono e mi permettono di sostare in quello spazio d’incanto dove nulla è quieto e sereno. Calcare l’argilla, creare gusci in silicone, schiacciare, rigirare, frantumare, saldare, patinare sono tra le azioni che amo compiere quando mi trovo immerso nei processi creativi. Tutte le tecniche, le procedure, gli studi che la scultura porta con sé mi permettono di osservare le forme come se mi spostassi sempre al di qua e al di là dello specchio, come se non esistesse un confine reale, un limite. Sono attratto dalle concavità nei volumi forse per quel senso di disorientamento che mi coglie quando l’opera si disvela improvvisamente mentre il guscio molle cade sul banco da lavoro, dimenticando la sua costruzione originale e lasciando spazio alla struttura finale. Corpo immateriale la scultura dove il confine lascia spazio al suo riflesso.
Oscillazioni (2023) e Mare dentro (2023) sono invece ispirati a due differenti opere letterarie: un testo cinese nel primo caso, e il poema dello scrittore spagnolo Ramón Sampedro nel secondo. Entrambe tuttavia sono state create utilizzando la terracotta dorata a guazzo con foglia d’oro. Puoi parlarci di questi due lavori e dell’uso simbolico di questa tecnica?
Nel caso di Oscillazioni, su di me ha esercitato un fascino fortissimo l’idea di interstizio, fessura, spazio vuoto nel quale calarsi per esplorare e creare una forma scultorea. Mentre nel caso di Mare Dentro la storia di Sampedro ha spinto la mia immaginazione verso questo specchio d’acqua agitato da un mare di impronte e cristallizzato dalla foglia d’oro che, come nel trecento, mi permette di isolare l’opera d’arte in uno spazio “altro” e “oltre-umano”.
Fritz, un elefante a corte è una scultura in resina realizzata nel 2015 e conservata nei giardini della Palazzina di caccia di Stupinigi. Nel gennaio del 2024 l’opera è stata trasportata in P.zza Castello a Torino, diventando così il simbolo della rinascita del Museo di Scienze Naturali, andato a fuoco alcuni anni prima. Puoi parlarci di questo progetto, di come è stato realizzato e cosa rappresenta?
Ho realizzato l’opera nel 2015 in collaborazione con le allieve e gli allievi del corso per Tecnico Costruzione Scenografie Teatrali e Cinematografiche presso le Scuole San Carlo di Torino. La scultura in resina è la riproduzione fedele dell’elefante Fritz conservato in tassidermia nel Museo di Scienze Naturali di Torino. Dopo la sbozzatura e la modellatura di grandi blocchi di polistirene, abbiamo creato su di essi la pelle in plastilina necessaria per la procedura di riproduzione mediante calco in gesso. Ultimata la madreforma, e aperti i grandi stampi, abbiamo laminato la resina epossidica con la fibra di vetro. Al termine, dopo aver richiuso le forme, abbiamo liberato la scultura dal manto di copertura e concluso il lavoro con vernici poliuretaniche per garantire al manufatto una resistenza ottimale.
Ci sono degli artisti che hanno influenzato il tuo lavoro o che continuano a ispirarti?
Joseph Beuys per il suo ruolo di artista-sciamano e per il rapporto magico che ha saputo instaurare con la Natura. Anish Kapoor per la forza e purezza evocativa delle sue forme, Giuseppe Penone per la sublime poesia che anima il suo lavoro artistico. E Francis Bacon, che nei suoi dipinti a volte terrificanti mi racconta, attraverso spazi e oggetti d’uso, di un genere umano che è parte delle cose che lo circondano e lo attraversano, plasmandone il corpo fino a trasfigurarlo.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Continuerò a lavorare alla mia ossessione, ovvero oggetti come riflesso dell’uomo e delle sue azioni.