Daniela Daz Moretti/Un’arte di confine tra nostalgia e nuove identità

intervista a cura di Carole Dazzi e Romina Ciulli

Liminale

Daniela Daz Moretti, scultrice, pittrice, è un’artista multiforme le cui opere plasmano un personale viaggio esistenziale, rendendo manifesto il suo lato più profondo e intimo. È soprattutto attraverso la modellazione della ceramica, suo medium di elezione, che Daz ci accompagna lungo questo percorso di formazione, attraversando tematiche quali l’infanzia e l’età adulta, il significato esistenziale della memoria, il confine allegorico tra mondo interiore e realtà esterna.

Le sue sculture, nel loro alternarsi di vuoti e pieni, suggeriscono una dimensione di assenza e vuoto, richiamano il concetto della nostalgia dei primi ricordi del passato, e diventano frammenti non solo di storie familiari, ma anche di un tempo collettivo che l’artista riporta alla luce. Parliamone con l’artista.

Tematica centrale del tuo lavoro è quella della nostalgia, un sentimento intimo e profondo, indissolubilmente legato alla memoria. Lo ritroviamo infatti nel tuo progetto intitolato Nostalghia/Nido. Puoi parlarci di questa tua opera? E di quanto questo sentimento influisca in generale sul tuo lavoro?

Nostalghia/Nido

La nostalgia è un sentimento complesso e profondo che ho cercato di esplorare attraverso le mie sculture. Nel corso degli anni, la nostalgia è diventata un vuoto, un senso di mancanza, un desiderio irrealizzato di ricongiungermi a una completezza che mi sembra perduta nel tempo. Il mio percorso personale, caratterizzato da numerosi spostamenti da un luogo all’altro, mi ha fatto sentire come un esule, sempre alla ricerca delle radici che ho lasciato alle spalle. Il Nido, quindi, diventa il simbolo di una ricerca spasmodica della calma, del rifugio. La mie sculture, parti integranti del progetto Nostalghia/Nido, rappresentano benissimo questa dualità. Le forme, con le aperture ampie e vuote, evocano l’idea del nido come rifugio, ma anche la sensazione della mancanza e dell’assenza. Al contrario, le forme con fori più piccoli o addirittura inesistenti sembrano nidi primordiali, essenziali, informi e incompleti. Queste forme contrastanti richiamano la casa e il luogo di appartenenza, ma suggeriscono inoltre l’abbandono e la partenza. Nelle mie sculture, come nei miei lavori bidimensionali, le due facce della stessa simbologia si richiamano e si respingono, riflettendo il complesso rapporto tra la nostalgia e il senso di appartenenza.

Il mio corpo/Il nostro corpo

Nelle tue opere ritroviamo echi e corrispondenze proustiane. In particolare il concetto di tempo, considerato da Proust come un qualcosa di vivente, che si muove e vibra costantemente al di sotto della nostra pelle, che si crede sopito ma invece, quando meno ce lo aspettiamo, fuoriesce prepotentemente come un sanguinamento inaspettato, investendoci e riportando alla luce ciò che credevamo perduto. Che cos’è per te il tempo? Come lo ritroviamo nei tuoi lavori?

Per me il tempo è una forza complessa e stratificata, molto lontana dalla concezione lineare che spesso gli attribuiamo. Nelle mie opere scultoree il tempo si manifesta come un continuo affastellarsi di eventi che ritornano, che emergono dal passato e ci richiedono spiegazioni. Questo movimento ciclico e imprevedibile richiama fortemente la “madeleine” di Proust, un simbolo perfetto di come un semplice elemento possa riaccendere ricordi e sensazioni che credevamo perduti. Il tempo, dunque, non è un flusso lineare, ma una rete intricata di connessioni e rimandi, in cui i legami tra passato, presente e futuro si confondono e si sovrappongono. Nelle mie sculture cerco di catturare questa complessità, rappresentando il tempo come un’entità vivente e pulsante. Ogni opera diventa un punto di incontro tra diversi momenti temporali, un luogo in cui il passato riemerge con forza e ci interroga, ci chiede di confrontarci con esso. Questo ritorno improvviso e potente del tempo si manifesta nelle forme e nei materiali che utilizzo, scelti per la loro capacità di evocare memorie e suggestioni. In questo senso il tempo nelle mie opere non è più una sequenza lineare di cause ed effetti, bensì una dimensione fluida e interconnessa, dove ogni momento può risuonare e interagire con gli altri, creando un dialogo continuo tra passato e presente.

Liminale

La tua arte è caratterizzata da un’essenza multiforme, che si rispecchia molto nell’uso di materiali e strumenti differenti. Tuttavia hai scelto la terracotta quale materiale di elezione per la realizzazione delle tue sculture. Un medium riconducibile alla terra, alle radici di un passato collettivo, al concetto stesso di appartenenza. Puoi parlarci del perché hai scelto questo materiale?

La terracotta è un materiale che mi permette di connettermi con le radici della nostra umanità. La sua storia antica, la sua malleabilità e la sua robustezza mi affascinano e mi ispirano profondamente. La terracotta è stata utilizzata per millenni da diverse civiltà per creare oggetti di uso quotidiano, opere d’arte e architettura. Questo medium mi permette di esprimere una continuità con il passato, di raccontare storie che risuonano con un senso di appartenenza collettiva. Lavorare con la terracotta mi consente perciò di esplorare forme e texture in modo molto diretto e intuitivo. La sua plasticità mi dà la libertà di creare forme organiche e naturali, che spesso evocano figure antropomorfe o elementi della natura. Inoltre, il processo di cottura trasforma la materia grezza in un oggetto duraturo, simboleggiando una metamorfosi che riflette la crescita e l’evoluzione. Nelle mie opere la terracotta diventa così un veicolo per esprimere concetti di identità, appartenenza e memoria. Ogni pezzo è un dialogo tra il passato e il presente, tra la terra e l’essere umano, cercando di catturare l’essenza del nostro legame con ciò che è archetipico e con la nostra storia comune.

L’argilla è un materiale su cui è possibile lasciare un segno, manipolandola in modo intenso e fisico, un medium dotato di una sua propria memoria e in grado di raccogliere le emozioni e diventarne il contenitore. Sembra avere dunque una capacità di rimettere in moto ciò che in qualche modo è rimasto bloccato, come nel caso dei ricordi. Questo suo utilizzo ha per te un valore terapeutico? Un aiuto per rimettere in moto un qualcosa che sentivi forse interrotto, sospeso?

Liminale

Assolutamente, l’argilla ha per me un valore profondamente terapeutico. Il processo di lavorazione dell’argilla è intrinsecamente legato all’interazione fisica e tattile, che permette di trasferire emozioni, pensieri e ricordi sulla superficie del materiale. Ogni tocco, ogni segno lasciato sull’argilla, è una traccia di un’esperienza vissuta, un dialogo tra l’artista e il materiale. Insegnando ceramica a persone con disabilità fisiche e divergenze comportamentali, ho visto in prima persona quanto sia potente questo processo. L’argilla offre un modo tangibile e immediato per esprimere ciò che a volte è difficile da verbalizzare. Può diventare un mezzo attraverso il quale chiunque, indipendentemente dalle proprie capacità o limitazioni, può comunicare e trovare un senso di realizzazione. Per quanto mi riguarda il valore terapeutico dell’argilla risiede anche nella sua capacità di riconnetterci con noi stessi e con gli altri. Il processo di manipolazione dell’argilla richiede attenzione e presenza, favorendo un’esperienza meditativa che aiuta a liberare la mente e a lasciar fluire le emozioni. Questo può essere particolarmente benefico per chi ha vissuto traumi o ha difficoltà a esprimersi in modi convenzionali. Inoltre, vedere i miei studenti trovare gioia e soddisfazione nel creare con le proprie mani è incredibilmente gratificante. L’argilla diventa così non solo un mezzo di espressione artistica, ma anche uno strumento di guarigione e di crescita personale. Questo processo di trasformazione, sia dell’argilla che delle persone che la lavorano, è ciò che rende il mio lavoro così significativo.

Nostalghia/Nido

Altro tema centrale nei tuoi lavori è quello della simbologia del nido, universalmente immagine di protezione, di calore familiare. I tuoi nidi però, essendo realizzati visivamente vuoti, suggeriscono in un certo modo una dimensione di mancanza e di abbandono, richiamando ancora una volta il concetto di nostalgia. Quale valore assume il concetto di nido nella tua visione artistica?

Il concetto di nido nei miei lavori rappresenta un tema centrale e complesso, che va oltre la semplice immagine di protezione e calore familiare. I miei nidi, pur evocando una sensazione di rifugio, sono volutamente vuoti, creando in tal modo una tensione tra la presenza e l’assenza, tra la sicurezza e la vulnerabilità. Questa scelta riflette una dimensione di mancanza e di abbandono, che richiama a sua volta il concetto di nostalgia. I nidi vuoti sono simboli di luoghi che hanno ospitato vita e che ora sono deserti, evocando la memoria di ciò che è stato e che non c’è più. Questo vuoto può rappresentare anche una pausa, un momento di attesa per qualcosa di nuovo che deve ancora arrivare, un invito alla riflessione sulla transitorietà della vita. Nel mio lavoro, il nido diventa un simbolo universale di appartenenza e perdita, di ricordi e di speranze future. Lavorando con l’argilla, un materiale che porta con sé la memoria delle mani che l’hanno plasmata, cerco di infondere nelle mie sculture questa dualità di significato. Ogni forma, ogni curva, è pensata per evocare la protezione del nido, ma anche la sua fragilità e la sua apertura al cambiamento. Il nido nei miei lavori rappresenta sia un rifugio che una testimonianza di cambiamento, una celebrazione della vita e una riflessione sulla sua impermanenza. È un simbolo potente che parla della condizione umana in tutte le sue sfaccettature.

Con Cura (2023), progetto presentato alla Galleria Substratum di Roma, vede l’allestimento dello spazio espositivo trasformarsi in una sala da pranzo, in un interno domestico e intimo, dove i nidi di creta nuda sono posizionati con cura nella loro scarna essenzialità all’interno dell’ambiente accogliente di una famiglia riunita al tavolo di casa. Questo lavoro contempla la tematica della ritualità, della partecipazione, del trovarsi ma anche del ri-trovarsi. In questo contesto il fruitore è invitato a uscire dalla sfera del sé per ricollocarsi in uno spazio d’insieme. Puoi parlarci di questo progetto?

Con cura

“Con Cura” è un progetto che ha un significato particolarmente profondo per me. Presentato alla Galleria Substratum di Roma, l’allestimento trasforma lo spazio espositivo in una sala da pranzo, evocando un ambiente domestico e intimo. Questo setting familiare è stato scelto intenzionalmente per esplorare i temi di ritualità, partecipazione, trovarsi e ri-trovarsi. La sala da pranzo è un luogo simbolico, un cuore pulsante della vita familiare dove si condividono momenti quotidiani, conversazioni e ricordi. Trasformare lo spazio espositivo in un interno domestico ha permesso di creare un’atmosfera accogliente e familiare, in cui i visitatori possono sentirsi avvolti e coinvolti. I nidi di creta nuda sono posizionati sulla tavola come se fossero anch’essi un nucleo congiunto e rappresentano la scarna essenzialità e la bellezza intrinseca della vita semplice. La loro disposizione non è casuale. Ogni nido è collocato in modo da evocare un senso di protezione e di calore, simile a quello che si trova in una famiglia riunita attorno al tavolo. I nidi sono simboli di rifugio, di accoglienza e di cura, elementi che diventano centrali nel contesto di questo progetto. Il lavoro vuole dunque spingere i visitatori a uscire dalla sfera del sé per ricollocarsi in uno spazio d’insieme, unendo la propria individualità a quella degli altri presenti. La ritualità del trovarsi e del ri-trovarsi attorno a un tavolo assume un nuovo significato in questo contesto artistico, diventando un atto di partecipazione e di condivisione. Il progetto intende far riflettere sul valore delle relazioni umane e sulla necessità di cura reciproca, elementi che spesso vengono trascurati nella frenesia della vita quotidiana. “Con Cura” è quindi un invito a riscoprire il calore delle connessioni umane, la bellezza dei rituali quotidiani e l’importanza di sentirsi parte di una comunità. Attraverso la semplicità e l’essenzialità dei nidi di creta, il progetto mira a creare un’esperienza emotiva e coinvolgente, che riscalda l’anima e invita a una riflessione profonda sul valore del prendersi cura, del trovarsi e del ri-trovarsi.

Forest Bathing

Nel procedente progetto, come in altri, emerge inoltre in maniera implicita un rapporto unico con gli oggetti e con lo spazio abitativo, che viene curato nei minimi dettagli e concepito col fine di migliorare la qualità della vita. Qual è dunque il tuo rapporto con il design?

Il mio rapporto con il design è piuttosto differente da quello tradizionale. Non mi focalizzo sulla funzionalità o sull’ottimizzazione degli spazi per migliorare direttamente la qualità della vita in senso pratico. Piuttosto il mio lavoro cerca di sollevare questioni e stimolare riflessioni attraverso l’interazione con gli oggetti e gli spazi. Ogni opera è concepita per provocare una risposta emotiva o intellettuale, invitando l’osservatore a interrogarsi sulla propria esperienza e percezione del mondo. Quindi, mentre il mio approccio potrebbe sembrare distante dal design convenzionale, si basa sulla convinzione che l’arte, anche nella sua apparentemente “inutile” complessità, può arricchire la vita attraverso la riflessione e la consapevolezza.

Liminale

Parliamo della mostra LIMINALE, ospitata nel 2023 alla galleria Mondoromulo arte contemporanea. Qui le tele montate a vivo e le sculture costituiscono un lungo lavoro di introspezione, svelando un percorso espositivo che manifesta un legame molto forte con la dimensione dell’infanzia. Infatti il luogo è quello in cui si risvegliano i ricordi, le suggestioni di una dimensione liminale appunto, sospesa tra passato e presente, dove il bambino è ormai diventato adulto, ma sente ancora forte la lotta tra percezione e coscienza. Puoi parlarci di questo progetto?

Certamente. La mostra LIMINALE è il culmine di un viaggio personale ed emotivo, un’esplorazione visiva e tattile di come il passato dell’infanzia possa continuare a influenzare e plasmare la nostra identità adulta. Ho scelto di utilizzare tele montate a vivo e sculture per creare uno spazio espositivo che funge da ponte tra il mondo dei ricordi e la nostra esperienza presente. Le opere riflettono la fragilità e la potenza di quei momenti formativi che, pur sembrando lontani nel tempo, continuano a esercitare un’influenza sottile ma persistente. La dimensione liminale della mostra è evidente nel modo in cui ho cercato di catturare e rappresentare quell’ambiguità emotiva, quel confine indefinito tra ciò che siamo stati e ciò che siamo diventati. I materiali e le forme che ho scelto sono progettati per evocare una sensazione di nostalgia e di introspezione, invitando lo spettatore a riflettere sulla propria storia personale e sulla trasformazione continua della propria percezione di sé. In sostanza, LIMINALE è un dialogo continuo tra il passato e il presente, un invito a esplorare come le esperienze infantili continuino a vivere dentro di noi e a influenzare il nostro modo di vedere il mondo.

Olduvai treasures

Ci sono degli artisti a cui ti ispiri?

I miei lavori si ispirano in realtà a influenze architettoniche che richiamano il lavoro di Le Corbusier, Alvar Aalto e Tadao Ando, ma anche l’approccio artistico di Jean Arp. Le Corbusier, uno dei padri del modernismo, ha sempre attratto la mia attenzione per le sue forme organiche e fluide, che sfidano le geometrie tradizionali. Trovo che i suoi volumi arrotondati e le linee morbide abbiano molto in comune con il modo in cui cerco di dare vita alle mie sculture. Allo stesso tempo, mi sento molto vicino all’opera di Alvar Aalto, che utilizzava forme morbide e organiche nelle sue architetture e nei suoi design, unendo sensibilità verso la natura e rispetto per i materiali. Non posso poi non menzionare Tadao Ando, la cui architettura minimalista e la sua concezione dello spazio mi hanno profondamente influenzato. Le mie sculture, con le loro aperture irregolari e superfici semplici, cercano di riflettere quell’essenzialità e quell’interazione con la luce che è così caratteristica del lavoro di Ando. Infine, mi ispiro anche all’artista Jean Arp, la cui esplorazione delle forme biomorfe e organiche si ritrova nel mio modo di creare. Le sue sculture, che sembrano quasi emergere spontaneamente dalla materia, mi hanno insegnato a vedere la forma come un processo organico, una naturale evoluzione del materiale stesso. In sintesi, il mio lavoro è un dialogo continuo tra questi principi e influenze, esplorando la relazione tra spazio, forma e materialità, cercando sempre di trovare un equilibrio tra architettura, arte e natura.

Flussi mutabili/Nidi di Fiume

Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?

Certamente. Attualmente, sto preparando un progetto per una residenza d’artista che sarà focalizzata sull’approfondimento della ceramica e sul suo ruolo nella mia pratica artistica. Durante questa residenza, esplorerò come la ceramica possa esprimere molteplici concetti attraverso il suo utilizzo. Inoltre, sono impegnata nella programmazione e realizzazione di diverse mostre future che presenteranno sia lavori presenti che le nuove opere sviluppate durante la residenza. Questi eventi espositivi offriranno un’opportunità per scoprire come la ceramica può tradurre visivamente e materialmente stati d’animo ed esperienze evocative. Ogni progetto rappresenta un’esplorazione profonda di come la ceramica può catturare e rappresentare l’effimero e l’immaginario, e sono entusiasta di condividere queste nuove dimensioni del mio lavoro con il pubblico.