a cura di Margaret Sgarra, curatrice di arte contemporanea
Veronica Bassani è nata a Faenza, e si è formata tra la sua città natale, Bologna, Milano, Roma e Ravenna. E’ direttrice artistica di “Sorelle festival”, presidentessa dell’Associazione culturale “Fatti d’Arte” e curatrice. Si occupa di teatro, arte ed eventi culturali tra Faenza, Bologna e Milano.
Giunto alla IV edizione, “Sorelle Festival” si propone come un festival dedicato alla figura femminile che attraverso un approccio multidisciplinare indaga il ruolo della donna in rapporto alla società passata e odierna. Puoi raccontarci come è nato questo progetto?
Il progetto nasce nel 2019 mentre stavo pensando a una proposta artistica richiesta dal CAV di Faenza – Sos Donna. Mi era stato chiesto di parlare di empowerment femminile e di parità di genere attraverso la cultura. Da sempre credo che il teatro e tutte le arti siano un potente mezzo per comunicare. Così parlando con le operatrici di Sos Donna abbiamo deciso di creare una mostra. Una mostra che appunto tratti della figura femminile, partendo dal corpo. Il corpo della donna è da sempre stato oggetto di violenza da parte degli uomini, della società e dalle donne stesse. Se noi per prime non difendiamo il nostro corpo, e non lo amiamo, ci sarà sempre purtroppo il rischio di subire violenza. Da questa piccola riflessione nasce l’idea di creare un progetto artistico che parli dell’amore, di sorellanza, del supporto e della forza che nasconde l’universo femminile. Scopro su Instagram la fotografa Valentina Botta e il suo progetto sorelle di corpo, e decido di proporle una mostra personale a Faenza. Ne parlo al Comune e mi viene dato Palazzo delle Esposizioni. Penso “ok stupendo, ma è sprecato per una sola mostra… potrei organizzare un festival!” Parlo con Valentina del cambio di programma e ne è entusiasta. Coinvolgo allora una mia compagna di master dell’epoca, Angela Molari, che sposa il progetto e diventa da subito il mio braccio destro dalla prima edizione ad oggi.
Quale è stato il momento più felice e quello più complesso nella realizzazione di questo percorso?
Parto da quello più complesso perché è ancora viva la sensazione dell’ 8 marzo 2020: le mostre erano allestiste, la conferenza stampa era stata fatta, le artiste erano a Faenza per l’inaugurazione, 250 prenotazioni in attesa di accedere all’evento. Arriva l’annuncio del blocco di tutte le manifestazioni culturali e di aggregazione. Salta l’inaugurazione. Io, Angela e Valentina eravamo dentro Palazzo delle Esposizioni, pronte per aprire al pubblico. Non mi faccio prendere dallo sconforto e organizzo, grazie alla rete della mia associazione Fatti d’arte, un team digital che ci permetta di inaugurare con una diretta su più account (giornali locali, associazioni partner e artiste) e inauguriamo così in digitale e a distanza. Quindi attraverso un approccio non scontato in pre pandemia. Questo credo sia stato in assoluto il momento più duro, ma che grazie al super team dell’associazione siano riusciti a trasformare in un bellissimo ricordo, dando la possibilità già dai primi giorni di lockdownn di poter vedere la mostra da casa a 360: https://www.fattidarteassociazione.it/sorelle-di-corpo360/.
Invece il momento più felice credo sia stato nel 2022 quando per la prima volta, sebbene con le mascherine, siamo riuscite ad aprire il festival in presenza. Perché purtroppo anche l’edizione del 2021 è capitata durante la restrizione delle zone rosse. Quindi rivedere le persone, percepire la voglia di esserci, partecipare, vedere le opere da vicino, parlare con le artiste e creare un dibattito insieme non più virtuale ma vivo e presente mi ha commossa. Per non parlare del fatto che il festival, nonostante il mondo fosse rimasto immobilizzato, era cresciuto e si era fatto conoscere sul territorio. Infatti, già dallo scorso anno, durante la terza edizione abbiamo scelto di lavorare su tutti i comuni circostanti, coinvolgendone 6 contemporaneamente, con location incredibili e con giovani artiste provenienti da diverse zone di Italia.
Tra le varie discipline indagate nel festival troviamo anche la fotografia. Di fatti la mostra personale “Sorelle di corpo” di Valentina Valuh Botta vuole sensibilizzare sul tema del corpo lanciando un messaggio positivo basato sulla consapevolezza e l’accettazione individuale. Puoi raccontarci come vi siete incontrate?
Valentina, come detto all’inizio, è stato il mio punto di partenza. Il suo progetto “Sorelle di corpo” penso mi stesse chiamando. Come ci siamo conosciute è molto divertente. Ero a Copenaghen per un Erasmus+ e stavo cercando progetti nuovi. Un’amica mi ha segnalato il progetto, che era appena stato pubblicato su Vogue Italia. Come ho visto i suoi scatti su Instagram, il video e la mission è stata subito alchimia. Valentina ha accettato il mio invito a portare una selezione dei suoi scatti a Faenza e creare una personale curata da me e Angela Molari, con i fumetti di Andrea Zoli. Infatti avevamo pensato di creare un percorso per le scuole, visto che quel tipo di tematica così delicata spesso colpisce proprio in quella fascia di età. Purtroppo come sappiamo il 2020 fu un periodo durissimo per la cultura, ma questa difficoltà ci ha portato a supportarci e creare una connessione profonda tra noi e i nostri progetti.
Un altro progetto espositivo è la mostra personale di Rosita D’Agrosa dal titolo “Indecisi tra la speranza e la paura” curata da Erica Romano. L’artista attraverso i suoi lavori ci parla di corporeità, di donne e cambiamento. Esiste secondo te un tipo di arte femminista?
Secondo me si, o meglio, l’arte ci parla di ciò che gli artisti e le artiste vogliono trasmettere. Rosita è sicuramente un’artista che comunica molto chiaramente la sua poetica. Il pubblico quando entrava al Fontanone voleva sapere di più su questa artista delicata e forte allo stesso tempo. Anche la giornalista che è venuta a fare il servizio per il telegiornale ci ha detto che il modo chiaro e indiscusso di comunicare di Rosita l’aveva catturata, chiedendoci il catalogo delle sue opere. Ma senza cambiare discorso credo che siamo in un’epoca di grande fermento culturale e di riscoperta del mondo femminile, forse perché fino adesso non è mai stato studiato in maniera così importante. Così credo capiti anche alle artiste e ai festival come il nostro. Siamo figlie del nostro tempo e parliamo di ciò di cui sentiamo la necessità.
Cosa consigli a chi vuole intraprendere la carriera di artista e cosa pensi dell’arte di oggi?
Il mio consiglio è di lavorare in rete: connettiamoci e arricchiamoci. Credo che essere artista oggi, ma forse un po’ in tutte le epoche, non sia affatto semplice. Anzi, diciamolo, è estremamente difficile. Siamo in una società che non supporta gli artisti. Siamo nell’epoca dei risultati, del profitto e del tutto e subito e questo non va d’accordo con i processi creativi, che a volte sono colpi di fulmine, ma altre volte sono lunghi e richiedono molta ricerca artistica. Per fortuna esistono molte realtà culturali che affrontano queste esigenze e cercano di agevolare il lavoro creativo proponendo bandi, residenze artistiche, scambi e progettazioni condivise. Perciò il mio consiglio è quello di conoscersi bene, capire cosa vogliamo fare e trovare i propri alleati. Insieme infatti si può creare un forte ecosistema culturale. Questo ci permette di crescere e fare “carriera” anche nel mondo dell’arte e della cultura, che credo sia uno dei più difficili in assoluto visto che non esiste una strada predefinita da seguire.
Qual è l’aspetto che ami di più del tuo lavoro?
Conoscere le persone, i luoghi, i mondi. Per quanto a volte sia difficile capire come fare, credo che non cambierei per nulla al mondo il mio lavoro. Permette di crescere, arricchirsi ed evolvere a ogni progetto.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Prossimamente partirò per Oslo per un progetto europeo sulla creatività sostenibile. Nel frattempo inizierò a lavorare all’Ina casa progetto associazione Aidoru.