a cura di Romina Ciulli & Carole Dazzi
A volte per poter mostrare il lato nascosto delle realtà o delle emozioni basta una fotografia scattata con semplicità dove le immagini, anche se poco definite, appaiono incredibilmente nitide e coinvolgenti. E’ quanto accade con la fotografia stenopeica, una delle prime tecniche utilizzate nel campo fotografico, che non utilizza lenti né obiettivi e che, attraverso un piccolo foro stenopeico, genera immagini dove lo sguardo si riappropria di un racconto sensoriale ogni volta straordinario. Di questa tecnica si serve Sharon Harris, fotografa americana,
le cui fotografie raffigurano figure femminili eteree, sensuali, colte in atmosfere surreali e in atteggiamenti eccentrici, che raccontano mondi interiori affascinanti e disorientanti, nei quali l’osservatore si lascia gradualmente trasportare. Tra le suo opere citiamo Industrial Series, The Wisdom of the Saint, Un-Travelling, Local Hunt, Nudes. Parliamone con l’artista.
La fotografia steneopeica rappresenta una tecnica per così dire “artigianale”, con tempi di esposizione più lunghi rispetto a quelli usuali, processi di creazione più lenti e immagini quasi “sensoriali”, che provocano in chi osserva riflessioni profonde ed emozioni intense. Puoi raccontarci perché hai scelto questa tecnica fotografica e come realizzi le tue fotocamere?
Sembra ancora miracoloso l’aver scoperto la fotografia stenopeica. All’epoca in cui ho iniziato a esplorare l’arte di questo tipo di fotografia, utilizzavo la stampa come mezzo espressivo. Ho approfondito questo tipo di processo nella speranza che potessero emergere nuove idee per le mie stampe. Il fascino della fotografia stenopeica e gli aspetti innovativi di questa forma d’arte mi hanno attratto molto. Ho scoperto che il lento, laborioso processo contemplativo di questa pratica si accordava al mio temperamento artistico. C’è un flusso naturale che arriva mentre si lavora con una fotocamera stenopeica. Creare un’immagine attraverso il suo foro incoraggia ad anticipare l’inaspettato, è un pozzo che sembra non prosciugarsi mai. A volte sembra che queste fotografie mi siano state regalate. Tutte le mie fotocamere sono state realizzate utilizzando contenitori di latta di varie dimensioni e forme. Faccio un foro nello stenoscopio usando lo stesso ago da cucito che ho usato nella creazione della mia prima macchina fotografica. Per ridurre le superfici riflettenti, nebulizzo l’interno della latta di nero. I supporti della fotocamera vengono quindi fissati con resina epossidica consentendomi l’uso del treppiede. Trovo che questa realizzazione delle fotocamere stenopeiche sia facile e divertente. È sempre emozionante anticipare la formazione dell’immagine unica che una nuova fotocamera catturerà. Mi solleva il fatto che non ci siano mirini nelle mie macchine. Si ha la sensazione che queste immagini vengano “evocate” piuttosto che “create”.
Le tue fotografie rappresentano ambienti onirici ed evocativi, popolati da figure femminili solitarie, spesso accostate a strutture maestose e a oggetti distorti, che richiamano dimensioni non solo surreali, ma soprattutto inconsce. Quanto la fotografia stenopeica ti permette di raccontare visivamente aspetti introspettivi e storie inusuali? E, se c’è, qual’è il suo limite?
L’arte della fotografia stenopeica mi permette di raccontare storie introspettive in tutta la loro interezza. La natura imprevedibile e melodrammatica di questa forma d’arte spesso distorce la realtà e si evolve in una versione romanzata di una scena. Un’esposizione eseguita a mezzogiorno può sembrare come se fosse stata scattata di notte. La luce catturata cambia e inizia a formarsi un’immagine misteriosa. I confini pittorici chiari vengono impostati attraverso la distorsione o attraverso i bordi scuriti di un’immagine. Lo spettatore si rende conto che la scena non si estende oltre l’inquadratura. Chiudendo la porta al mondo esterno, queste vignette fotografiche diventano scenari a sé stanti. Fotografare attraverso il foro stenopeico, con il suo modo silenzioso e interiore di rivelare un soggetto parla non solo della mia estetica, ma anche del mio io introverso.
Un’altra caratteristica di questa tecnica è la distorsione. Nei tuoi lavori questo aspetto sembra essere associato a elementi simbolici, fantasiosi o, per meglio dire, mitologici. A che cosa è legata questa ricerca estetica?
Più o meno allo stesso modo in cui un artista disegna, anch’io ho il desiderio di plasmare un’immagine. Le immagini distorte resistono alla prevedibilità e tendono ad avere un effetto persistente sullo spettatore. Ho scoperto che questo è vero osservando un’immagine particolarmente memorabile di “Alice nel paese delle meraviglie”. In questa scena, Alice è ritratta con un collo lungo e storto. Nonostante i molti anni trascorsi da quando ho visto per la prima volta questa immagine, l’impatto visivo che essa produce la dice ancora molto lunga.
Ogni tuo processo creativo prevede un’attenta pianificazione tecnica e una minuziosa costruzione scenica. Inoltre nei tuoi scatti sembri ri-creare un mondo già concettualmente delineato, riuscendo tuttavia a cogliere aspetti imprevedibili? Come nascono le tue composizioni?
Con l’intenzione di pre-visualizzare le varie possibilità, qualche volta mi capita di visitare un luogo prima di un servizio fotografico. Indago gli angoli, l’illuminazione e il posizionamento della figura all’interno dello spazio. Per esaminare ulteriormente pose e idee compositive, a volte studio queste immagini preliminari su Photoshop. Con questo programma sono in grado di manovrare le figure per chiarire meglio la mia messa a fuoco. Detto questo, e nonostante tutte le buone intenzioni, la realizzazione di una fotografia stenopeica di successo spesso sembra intangibile, fragile e sfuggente. Ogni composizione è creata con la consapevolezza che fotografare attraverso il foro stenopeico è sempre uno sforzo di collaborazione tra le fotocamere, la modella, gli elementi e me stessa.
Recentemente la mia ricerca per localizzare le sculture della zona ha rivelato una struttura nelle vicinanze di uno scheletro di dinosauro adornato con gioielli. Ho pensato a come poter ritrarre la figura in relazione a questa struttura molto grande. Ho studiato il modello sdraiato, in piedi e rannicchiato direttamente sotto la scultura del dinosauro. Ho immaginato il rovescio della medaglia di questa scena, ovvero le ossa di dinosauro sotto la superficie e la modella sopra. Il fatto che la figura sarebbe apparsa sotto lo scheletro, ha portato all’idea che potesse emergere dal regno dei dinosauri. Visivamente, questo tipo di posa occuperebbe anche lo spazio necessario tra la figura e il dinosauro.
Speso nelle tue serie fotografiche, come in Industrial Series, The Wisdom of the Saint, Un-Travelling e altre ancora, si assiste al ripetersi continuo di una combinazione di elementi ancestrali e tragici. Le figure umane da un lato sembrano possedere un legame simbolico/simbiotico con gli oggetti, gli animali o le altre strutture presenti, dall’altra invece manifestano il desiderio di svincolarsi da tali riferimenti radicati. Qual’è il senso che intendi comunicare?
Le mie immagini ruotano attorno alla figura femminile catturata in ambienti che evocano un senso di ultraterreno. Il desiderio di essere liberi o di avere radici ha molto a che fare con la tensione che cerco di ritrarre all’interno di queste immagini. Un tira e molla sia a livello visivo che emotivo. La ricerca di un’immagine include contemporaneamente considerazioni pittoriche e narrative che si spera si fonderanno per formare una rappresentazione concettuale. Ogni immagine rappresenta una realtà privata, uno spazio isolato dove la figura convive con il soggetto. La trasformazione dell’ordinario in straordinario è un tema costante che attraversa ogni mio lavoro. Esso si concentra sulle eccentricità che si trovano nella vita di tutti i giorni. Riguarda il familiare che diventa sconosciuto.
Nei tuoi scatti il surrealismo rappresenta un aspetto centrale, in grado di evidenziare quel sottotesto mitologico tipico della tua estetica. Lo spettatore assiste inconsapevolmente a una messa in scena voyeuristica, a una teatralità tragica e a una narrazione cinematografica. Quanto le altre pratiche artistiche influiscono sulle tue composizioni?
Una delle affermazioni più profonde e utili che ho letto sulla creatività proviene dal libro Growing Up Creative di Teresa M. Amabile. La dichiarazione recita qualcosa come “Più a lungo rimani nel labirinto, più creativo sarà il risultato“. Sia che stia lavorando in giardino o perfezionando l’ambiente circostante, cerco di praticare questo assunto di “stare nel labirinto”. Mi concentro particolarmente sul processo di editing e sono fortunata ad avere molte persone creative nella mia vita con le quali posso collaborare regolarmente. Sono abituata a visitare spesso musei e gallerie. Inoltre seguo numerosi blog per trovare l’ ispirazione ed esplorare nuove idee.
Ci sono dei fotografi o degli artisti che hanno influenzato il tuo percorso artistico o che continuano a inspirarti?
Fin da bambina, e ancora oggi resto sempre incantata dal dipinto “Morte su cavallo pallido” di Albert Pinkham Ryder. In questo dipinto uno scheletro a cavallo attorno a un ippodromo sembra essere ignaro di un serpente che emerge dal terreno. Quest’opera risponde a tutte le caratteristiche per ciò che riguarda la composizione, il design, il simbolismo, l’immaginazione e la tragedia. Tuttavia, ci sono anche la bellezza e la luce al suo interno. Mi affascina molto anche la fotografia “Canyon a Oppedette” di Dieter Appelt . Questa fotografia ha tutte le qualità che cerco anche nel mio lavoro. Un uomo in piedi in una grotta con le proprie braccia distese agganciate alle ali di un aeroplano sembra pronto a spiccare il volo. Le spoglie ali bianche contro le pareti ruvide della caverna e la posa da soldato dell’uomo contrastano con la morbidezza della foresta in lontananza. Sebbene sappiamo di essere consapevoli che questa immagine è il risultato di una messa in scena, possiamo ancora nutrire l’idea che potremmo esserci “trovati sulla scena” e così la nostra immaginazione può spiccare il volo. Trovo che l’approccio minimalista del fotografo Andrea Kiss e dell’artista Gorgio Morandi e l’esplorazione costante di un tema particolare siano fonte di grande ispirazione. Sono davvero ammirata da fotografi quali Arther Tress, Eikoh Hosoe, Barbara Ess e Ruth Thorne Thomsen.
Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
Di recente ho scoperto un murale fotografico con dei bambini che indossano delle corone che desidero ritrarre. Questo murale situato in una posizione abbastanza interessante, dall’altra parte della strada rispetto a dove mio padre insegnava al liceo, ha catturato il mio interesse e, forse durante il servizio fotografico, mio padre potrà essere spiritualmente presente. Ho intenzione di cercare altri murales con cui lavorare poiché possono offrire l’opportunità di rendere l’immagine in modo surreale. Ho anche lavorato con una grande scultura a forma di testa nella speranza che questo possa condurmi a realizzare una serie sulla statuaria. Mi sono prefissata un obiettivo: produrre un centinaio di immagini di seguito. E mano a mano che mi avvicino al mio obiettivo, lavorare alla pubblicazione di un libro che evidenzi ciò a cui le mie fotografie stenopeiche stanno iniziando a dare forma.
http://sharonharrisphotography.com/
@sharonharrispinholephotography