a cura di Valentina Biondini, appassionata di letteratura
Hannah Höch, nome d’arte di Anna Therese Johanne Höch, nasce a Gotha, in Germania, nel 1889. Conosciuta soprattutto per il lavoro prodotto durante la Repubblica di Weimar, oggi è considerata una delle più grandi artiste della stagione dadaista del XX secolo e una pioniera della tecnica del fotomontaggio. Hannah Höch è infatti la donna che ha innovato la tecnica del collage, elaborando immagini prese da rotocalchi e magazine, in un continuo rimando di spunti politico-culturali.
Cresce in una famiglia della media borghesia e nel 1912 si iscrive alla scuola di arti applicate di Charlottenburg, a Berlino, con il desiderio di diventare pittrice. Tuttavia, successivamente, per accontentare il padre sceglie di seguire l’indirizzo in arti grafiche invece che Belle Arti. Nonostante ciò, Hannah decide, fin dagli anni ‘10, di manifestare la sua creatività per mezzo di quel linguaggio apparentemente disgregato ma così eclettico che è il collage. Questa tecnica si avvale infatti di immagini ritagliate da giornali, riviste e altri generi di illustrazioniche, combinate insieme, restituiscono una prospettiva della realtà e del mondo emotivamente coinvolgente, ma allo stesso tempo sarcastica e pungente. Un’estetica compositiva che la Hoch interiorizza grazie alla frequentazione di alcune grandi personalità in campo artistico. Tra questi, Theo Van Doesburg, Kurt Schwitters e Moholy-Nagy. La satira che ne deriva è amara e stridente, e non risparmia tematiche contrastanti presenti nella vita pubblica e privata.
A tal proposito citiamo opere come “Staatshäupter Heads of State” (1918–1919) e “From an Ethnographic Museum”. Si tratta di opere da cui emergono concetti legati all’identità e al genere, espressi con una sensibilità che richiama il successivo pensiero femminista. Nel 1915 inizia una relazione con Raoul Hausmann, membro del gruppo Dada di Berlino e due anni dopo, nel 1917, ha inizio anche il suo coinvolgimento nel gruppo, tanto è vero che alla prima Fiera Internazionale Dada del 1920 vengono esposte ben nove opere dell’artista. Del resto il dadaismo è un movimento artistico e letterario d’avanguardia il cui nome deriva dalla voce onomatopeica “dada” del linguaggio infantile (propriamente «cavallo») trovata dal suo ideatore, Tristan Tzara, aprendo a caso un dizionario francese.
Dunque la parola “dada” di per sé non significa nulla. Del resto fin dalle origini questo movimento fu caratterizzato da una connotazione “distruttiva” che tendeva a far polemica nei confronti della politica, dell’uomo, della filosofia, dell’arte e della società. Insomma, si scagliava contro ogni forma di umanità istituzionalizzata. Per un movimento del genere, sviluppatosi in seguito al fallimento di ogni ideologia, la tecnica del collage rappresentava perciò una soluzione perfetta per esprimere il disagio. Nei collage, infatti, gli artisti oltre ad alludere con i frammenti delle immagini alle spinte storiche e sociali, cercano di destabilizzare l’ordine precostituito, filtrandolo attraverso un non-sense paradossalmente sensato e centrato. In realtà l’unica caratteristica che, almeno in Germania, rendeva il gruppo dadaista omologato al resto della società era lo sbilanciamento di genere. La maggior parte degli artisti Dada difatti erano uomini, e la figura di una donna costituiva un’eccezione al suo interno. La storia della Höch quindi mette in evidenza quanto il maschilismo alberghi anche nei movimenti artistici più rivoluzionari. A ben guardare, infatti, le artiste dadaiste sono state solo una decina e l’opera di molte di esse è stata ingiustamente dimenticata. La stessa Höch, nonostante le sue abilità, incontra ostacoli per farsi prendere sul serio dal movimento. Il gruppo addirittura quasi non accetta, per poi ripensarci, la sua partecipazione alla Prima Fiera Internazionale del Dada, a Berlino nel 1920, un’importante vetrina inaugurale per il movimento. Nonostante questo, l’artista è riuscita a emergere grazie al suo talento e alla sua determinazione ferrea, dimostrandosi capace di contrastare le creazioni maschiliste attraverso una prospettiva più moderna e stimolante.
Le visioni caleidoscopiche presenti nei suoi montaggi ci mostrano la società e la cultura tedesca tra le due guerre attraverso uno sguardo femminista, stravagante, quasi ambiguo. Le sue opere d’arte, inoltre, sono cariche di una pungente critica sociale verso la Repubblica di Weimar. Uno dei suoi primi e più famosi lavori è “Cut with the Dada Kitchen Knife through the Last Weimar Beer-Belly Cultural Epoch in Germany” (1919). Il collage, in formato poster, sovrappone immagini così diverse e variegate, tanto che la stessa composizione, a una prima analisi, risulta caotica e destabilizzante. In realtà, osservando meglio, emergono distintamente due gruppi di immagini: quelle delle persone e quelle delle macchine. Una dicotomia concettuale che da una parte allude appunto al conflitto tra l’uomo e le macchine. Dall’altra sottolinea quanto la vivace società tedesca avverta la necessità di una indispensabile industrializzazione per uscire dal conflitto mondiale. Altro elemento interessante di quest’opera è la cartina dell’Europa posta nell’angolo inferiore destro dove, secondo alcuni, sono evidenziati i paesi che avevano concesso il diritto di voto alle donne. Del resto dobbiamo dire che, nonostante la Repubblica di Weimar abbia diminuito le differenze di genere, concedendo fra l’altro il suffragio alle donne già nel 1918, tuttavia i diritti legali e la partecipazione politica rimanevano circoscritti. Le donne inoltre potevano accedere al mondo del lavoro, ma dovevano accettare lavori sottopagati e svolgere contemporaneamente e bene tutte le altre attività che le impegnavano nella casa e nella famiglia.
E Hannah Höch è stata la donna/artista che ha rappresentato in maniera innovativa tale discriminazione di genere. Un montaggio per esempio come “The Beautiful Girl” (1920), raffigura una donna che, mentre lavora, ha una lampadina al posto della testa e su ciascun lato ha, rispettivamente, uno pneumatico per auto e una leva che la bloccano. Qui la Höch utilizza ritagli di riviste femminili e altri media per sottolineare le contraddizioni e la complessità dei ruoli femminili. L’opera, infatti, mostra quanto all’epoca le posizioni sociali delle donne esplorati non solo in termini di diritto e lavoro, ma anche in quelli di sessualità e identità femminile. Tuttavia la realtà e la vita quotidiana delle donne era spesso in contraddizione con gli ideali e le aspettative che venivano loro richieste. La Höch voleva dunque che lo spettatore venisse disturbato dai concetti tradizionali di genere, presentando idee contrastanti di femminilità e, perché no, mascolinità. E ciò viene reso attraverso elementi ripetitivi e simbolici, come la ruota ovale o l’orologio.
In questo modo riesce a sovvertire l’intento seducente delle immagini pubblicitarie che utilizza. Infatti i colori più che attraenti appaiono piatti, la figura femminile decapitata viene ricostruita come se fosse merce, mentre una figura alle sue spalle la fissa con occhi disincarnati. E’ come se non solo l’autonomia della donna venga negata, ma quella dell’umanità stessa, ammaliata da un modernismo corrosivo. Al contrario la libertà della Hoch sembra riflettersi sia nella pratica artistica, che nella vita privata. Nel 1922 lascia Hausmann e, quattro anni dopo, inizia una relazione con un’altra donna, la scrittrice olandese Til Brugman con la quale convive a L’Aia dal 1929 al 1935. Particolari che la rendono una donna cosmopolita ed emancipata per la sua epoca. Dopo la fine della relazione con la Brugman, l’artista sposa un giovane pianista di nome Kurt Mattheis. Negli anni ’30, con l’avvento del nazismo, Höch, a differenza di molti suoi amici artisti, si rifiuta di lasciare il paese e si ritira in una villa fuori Berlino cercando di mantenere un basso profilo, consapevole che un personaggio come lei è sicuramente inviso al regime. Inoltre i nazisti chiudono il Bauhaus di Dessau prima che Höch possa esporre la sua mostra personale, prevista per il 1932.
Rimossa dalla scena artistica mondiale, censurata dai nazisti perché “degenerata”, Hannah tuttavia continua a lavorare e sviluppa uno stile del tutto nuovo che, dal secondo dopoguerra in poi, muove chiaramente verso l’astrattismo. Espone principalmente all’estero e nel frattempo affina la tecnica del fotomontaggio, esplorandone continuamente le potenzialità. Oltre a ciò, realizza l’archivio dell’opera dei dadaisti, che renderà possibile la riscoperta del lavoro del gruppo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1945, a guerra conclusa, riprende a esporre a livello internazionale, cosa che continuerà a fare per il resto della sua vita. Tuttavia il suo lavoro ottiene un grande interesse solamente dopo la grande mostra tenutasi all’Accademia di Belle Arti di Berlino nel 1971. Un’altra retrospettiva molto importante è del 1976, al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris e alla Nationalgalerie di Berlino. Dopo la sua morte, nel 1978, la sua complessa opera viene analizzata e approfondita attentamente. All’artista viene riconosciuto il merito di aver compreso il rapporto complicato e stretto tra arte e politica, realizzando dei lavori si spingono al di là dell’innovazione tecnica, che pure è presente.
Il fatto che la Höch sia stata una pioniera sia nel suo campo artistico che nell’evidenziare una prospettiva femminile innovativa, nonostante le ingiustizie di una cultura dominata dagli uomini, riflette il suo talento e la sua determinazione. A tutt’oggi la sua arte continua a integrarsi perfettamente in quella realtà contemporanea fatta di immagini digitali manipolate e ricostruite. Ma al contempo ci restituisce quello spirito critico che riesce ancora a farci riflettere e stupirci.