a cura di Valentina Biondini, appassionata di letteratura
La rubrica “Who’s Next?” torna a occuparsi di una giovane donna geniale e poliedrica vissuta nel secolo scorso che, a partire dalla pubblicazione postuma del suo lavoro, non ha mai smesso di essere al centro di mostre, libri e trasmissioni televisive. La sua vita è stata persino raccontata in un film, “Charlotte” del regista Frans Weisz del 1981. Si tratta appunto di Charlotte Salomon, artista ebrea berlinese, autrice di un’unica opera, totale e innovativa, che sfida il rapporto tra finzione e realtà, come risulta evidente già dal titolo: “Vita? O teatro?”, in lingua originale “Leben? Oder Theater? Ein Singespiel”.
Creata nell’arco di circa due anni, tra il 1940 e il 1942, nell’epoca oscura dell’olocausto, “Vita? O teatro?” è composta, nella sua forma definitiva, da quasi 800 tavole realizzate con la tecnica “del guazzo” o, per dirla alla francese, del gouache. Si tratta di una tecnica pittorica simile all’acquarello nella quale, tuttavia, c’è una maggiore quantità di pigmento rispetto all’acqua. L’artista, infatti, utilizza esclusivamente i tre colori primari del rosso, blu e giallo, mentre le illustrazioni sono accompagnate da suoi commenti in terza persona. Nella pittura della Salomon, molto personale e capace di passare da descrizioni dettagliate a stilizzazioni estreme, si sentono fortemente gli echi dell’espressionismo tedesco, dei fauves, di Chagall e Modigliani. Si colgono inoltre, benché meno esplicitamente, citazioni del rinascimento italiano fra cui Michelangelo e Tiziano. La pittrice del resto era entrata in contatto con queste correnti espressive durante i suoi viaggi nel nostro paese. Ma ciò che sorprende fortemente di questa giovane donna è la profonda coscienza di sé, cosa che la rende inconfondibile nel panorama generale dell’arte.
Dal punto di vista stilistico, nell’opera si incontrano pittura, scrittura poetico filosofica e commento musicale. Non a caso questa modalità stilistica da alcuni è stata definita una graphic novel ante litteram. È stato infatti notato come ogni tavola sia consequenziale rispetto alla precedente e alla successiva, in una sorta di moderno frame. In questo modo le immagini sembrano far parte di una pièce teatrale o addirittura di una sceneggiatura cinematografica. Del resto in questa iconografia così distintiva persino la parola assume un aspetto essenziale. Questo è particolarmente evidente nei monologhi dei personaggi, dove le soluzioni espressive adottate riescono a combinare totalmente il piano visivo e quello linguistico. Dunque una sintesi compositiva originale che, attingendo alle estetiche a lei contemporanee, si fa pittura, illustrazione e racconto.
Dal punto di vista contenutistico, invece, “Vita? O teatro?” ripercorre la drammatica storia della famiglia dell’autrice a partire dal 1913, anno in cui sua zia Charlotte, dalla quale ha ereditato il nome, si suicidò appena diciottenne. Capita a volte perciò che anche la Storia, con l’incombente tragedia della shoah, entri nel racconto. Troviamo infatti tavole che illustrano le tracotanti parate naziste, le inaudite violenze nei confronti dei perseguitati e il terrore di questi ultimi. Ma questi elementi ideologici non prevalgono mai sulla narrazione della sua storia privata, che invece risulta essere il vero fulcro dell’opera.
Mai come in questo caso, dunque, per capire il significato nascosto dietro una produzione artistica è d’obbligo andare a conoscere la biografia della sua autrice. Biografia che è confluita direttamente nell’opera, essendone la materia stessa, come tradisce il titolo. Charlotte Salomon nasce a Berlino il 16 aprile 1917 da una famiglia ebraica dell’alta borghesia. Il padre, Albert, è un noto chirurgo e docente universitario, mentre la madre, Franziska, è un’infermiera. La sua infanzia trascorre tranquilla fino alla morte della madre, avvenuta quando ha solo nove anni. Si tratta di un suicidio, ma la tragica verità le viene celata per molto tempo. Alcuni anni dopo il padre si risposa con Paula Lindberg, una celebre contralto di origine ebraica. Nel 1935, con Hitler al potere da due anni e le leggi razziali già in vigore, Charlotte, il cui talento artistico è ormai sbocciato, è l’unica “giudea al cento per cento” a essere ammessa alla Scuola nazionale dell’Accademia di Belle Arti di Berlino. Questa esperienza le consente di apprendere le tecniche tradizionali e le porta nuovi affetti e amicizie. Ma è anche segnata da crescenti discriminazioni, come l’esclusione per motivi razziali da un concorso in cui era data per favorita. Così, dopo soli tre anni, si vede costretta ad abbandonarla. Il 9 novembre 1938 in Germania la situazione precipita: è la Notte dei cristalli, le sinagoghe vengono assalite, i negozi degli ebrei distrutti, trentamila di loro vengono deportati nei lager. Charlotte decide quindi di riparare a Villefranche-sur-Mer, nel sud della Francia, dai nonni materni che vi erano giunti cinque anni prima per sfuggire al dilagante antisemitismo della Germania.
Poco tempo dopo sua nonna, caduta appunto in depressione per i suddetti eventi tragici, tenta il suicidio. Il tentativo viene sventato una prima volta da Charlotte stessa. La donna purtroppo ritenta l’anno seguente, nel 1940, stavolta riuscendoci. È a questo punto che la pittrice scopre la verità sulla lunga scia di morte che ha segnato il ramo materno della sua famiglia. Emerge infatti che per prima si è suicidata sua zia Charlotte, poi sua madre, infine sua nonna. Questa rivelazione la sconvolge, tanto più che lei stessa inizia a soffrire di gravi crisi depressive. Allora, per esorcizzare il suo malessere interiore e, in parte, le paure concrete rappresentate dalle persecuzioni naziste, Charlotte inizia a lavorare alacremente a “Vita? O teatro?”. Il lavoro va avanti per circa diciotto mesi tra sacrifici di ogni tipo. Nel 1943, temendo di essere catturata dai nazisti e sapendo di doversi nascondere, affida tutti i suoi scritti al suo medico, il dottor Georges Moridis, affinché, almeno loro, si salvino. Nello stesso anno sposa Alexander Nagler, anch’egli un ebreo rifugiatosi in Francia, da cui aspetta un bambino, ma in ottobre viene catturata dai nazisti e deportata ad Auschwitz dove probabilmente viene assassinata lo stesso giorno del suo arrivo, il 10 ottobre.
Dalla sua breve biografia, che contempla solo i primi 26 anni della sua vita, emergono almeno quattro figure-chiave. Innanzitutto la matrigna Paula Lindberg con cui Charlotte ha un rapporto conflittuale, fatto di adorazione e gelosia, ma che rappresenta comunque per lei un punto di riferimento. Poi Alfred Wohlfson, psicoterapeuta e trainer vocale, che entra nella sua cerchia familiare per insegnare alla matrigna i suoi metodi. Charlotte si invaghisce di lui. Ma quest’ultimo, a sua volta, si invaghisce di Paula. Si crea così un singolare triangolo che sarà fondamentale per lo sviluppo emotivo, intellettuale e artistico della giovane. C’è poi la figura del medico Georges Moridis, colui che salva l’opera di Charlotte dalla distruzione e la consegna intatta nelle mani sicure della quarta e ultima figura chiave, quella di Ottilie Moore. La Moore è una ricca benefattrice americana di origini tedesche che tra gli anni ’30 e 40 si dedica al soccorso degli ebrei. Presso di lei trovano rifugio dapprima i nonni di Charlotte e poi la giovane stessa. Ottilie diventa amica della ragazza e la incoraggia nella sua attività artistica, aiutandola anche materialmente. Alla fine della guerra riconsegna il racconto della vita della sua amica ai superstiti della sua famiglia, vale a dire suo padre e la matrigna che, a loro volta, lo consegnano al Museo ebraico di Amsterdam dove è tuttora custodito e dove gli sono stati dedicati numerosi studi e mostre.
È noto che, sin dall’antica Grecia si parla della funzione catartica dell’arte. E, guardando al percorso di Charlotte Salomon, si può affermare con assoluta certezza che ella ha interiorizzato e fatto propria questa lezione, decidendo, quando temeva di perdere la ragione, di aggrapparsi all’arte come a un’àncora di salvezza. In questo modo ha trasformato il dolore nella sua musa e la sua opera nella sua terapia. Attraverso un linguaggio inedito per l’epoca, Charlotte infatti affronta soggetti legati alle sue esperienze affettive e culturali in una continua metamorfosi stilistica. Ecco allora che in quel breve tempo in cui le è stato concesso di essere padrona del proprio destino, questa artistaha scelto di non arrendersi, ma di “guarire” attraverso l’arte. E il successo imperituro di “Vita? O teatro?” dimostra che ce l’ha fatta. Con la sua pittura così energetica e la sua forza creativa così instancabile ha realizzato un’opera unica e in qualche modo sorprendente. Dal 2019, finalmente, anche i lettori italiani possono accostarsi a “Vita? O teatro?”, dal momento che Castelvecchi Editore ha provveduto a pubblicarne la prima edizione integrale in lingua italiana.