a cura di Romina Ciulli e Carole Dazzi
Il colore come mezzo di sperimentazioni pittoriche ed espressioni comunicative. L’utilizzo di materiali atipici, fra cui specchi o spugne, che allargano i confini convenzionali della modalità pittorica. Lorenzo Pace, giovane pittore italiano, nelle sue opere delinea delle narrazioni intimiste, che si interrogano su questioni soggettive e di rimando collettive, attuali.
Un percorso che prende avvio dall’aerosol art, una tecnica pittorica che gli ha permesso di approfondire la sua passione per i colori e le loro modalità espressive. Successivamente la sua ricerca si impernia sulla pittura, per poi aprirsi a commistioni multidisciplinari, attraverso l’impiego di tecniche innovative e materiali differenti. Una forma di comunicazione intima e personale che ritroviamo in tutte le sue creazioni, così come nei progetti tra cui Era una cena per due (2015), Reef (2017), o quello realizzato per Deep Blue (2020). Approfondiamo la conversazione con l’artista.
Il tuo approccio al mondo dell’arte è avvenuto attraverso la pittura, inizialmente realistica, ma che in seguito ha lasciato spazio a sperimentazioni sia formali, sia tecniche, all’utilizzo di mezzi e supporti espressivi differenti, materiali e oggetti quotidiani, spesso inconsueti, come spugne, catene o legni, che trasmettono un messaggio coinvolgente, legato a storie comuni e sensazioni diffuse. Ne derivano delle rappresentazioni fortemente empatiche e comunicative, all’interno di una ricerca semantica in continua espansione. Puoi raccontarci il tuo processo evolutivo e creativo?
Credo che ogni opera abbia bisogno di un proprio linguaggio e di una sua personalità per trasmettere il messaggio desiderato. Ognuna infatti ha un suo carattere, una forma estetica ben precisa. Anche se il mio primo approccio è stato la pittura, il metodo più tradizionale con il quale ci si può esprimere, ora uso differenti mezzi di comunicazione: supporti, materiali e oggetti che diventano protagonisti della mia visione artistica, ma hanno tutti un filo conduttore comune. Una semplice spugna che può sembrare solo un oggetto quotidiano povero, per me invece può diventare la forma di espressione perfetta per raccontare una storia.
Il colore è un aspetto basilare del tuo lavoro. Nelle tue opere, infatti, utilizzi tonalità molto vivaci, accese, ma che in realtà sembrano evocare emozioni più complesse e introspettive. Qual è dunque la valenza che il colore ha nella tua pratica artistica?
In tutte le mie opere generalmente uso colori vivaci, sgargianti e fluo. A un primo sguardo sono tinte felici, ma colorano opere piene di un altro significato, mettendo in discussione l’identità del lavoro stesso. Il colore diventa quindi il modo di rappresentare la voglia di un cambiamento. Non riuscirei mai ad immaginare opere prive di colore, perché da ogni sfumatura ricevo un’emozione, un sentimento diverso ma positivo che serve a chiudere la mia espressione artistica.
Nel 2015 hai organizzato la tua prima mostra personale intitolata Era una cena per due: il racconto di un incontro/scontro tra una coppia di persone orchestrato simbolicamente durante una cena, e osservato attraverso emozioni e comportamenti forse reali, o forse semplicemente suggeriti. Qual è il significato di questa dimensione sospesa?
Nella mostra erano messe a confronto due entità: l’arte visiva con quella culinaria. Due elementi così distanti che, unendosi, creano un’unica materia indissolubile. La tavolozza dove mescolo i colori non è differente da un tagliere dove lo chef sminuzza e unisce i suoi ingredienti e dalla quale, alla fine, nascerà un’unica, irripetibile forma o formula che travolgerà il fruitore, investendolo con le più diverse emozioni. Come una coppia durante una cena: seduti si parlano, si confrontano cercando di trovare i giusti componenti per la loro felicità. All’improvviso una sedia rovesciata: forse è avvenuto un litigio, forse uno dei due se n’è andato. Oppure tutto ciò non è avvenuto, magari si tratta di un repentino avvicinamento. La chimica è la chiave per trovare come sempre la giusta formula.
Un altro aspetto che emerge dai tuoi progetti è la volontà di stimolare lo spettatore a riflettere su quesiti legati all’identità e alla realtà che lo circonda. Per esempio, nella tua personale intitolata Reef, presentata alla Galleria ADA di Roma nel 2017, hai combinato pittura e installazione per realizzare un dialogo figurativo dove i materiali diventano protagonisti del racconto stesso. Da dove prendi la tua inspirazione? E, in questo particolre caso, quale riflessione intendevi maggiormente suscitare nel fruitore?
Le mie opere non nascono per denunciare solo tematiche sociali, ma per far riflettere su come certi argomenti, che ci sembrano lontani e appartenere a realtà critiche e distanti, sono invece parte della quotidianità di tutti. Ogni artista riceve imput dal mondo che lo circonda e per questo, anche un po’ involontariamente, le mie opere possono toccare certi argomenti. Ma lo smarrimento, il sentirsi bloccato in una realtà che non ci appartiene e la voglia di un futuro migliore sono emozioni che ognuno di noi prova costantemente. I miei lavori quindi hanno l’ambizione di voler far riflettere e far immedesimare lo spettatore, facendolo tornanare a casa con delle domande a cui dare risposta. In quel caso, il progetto era un tributo alla storia di Aylan Kurdi.
Invece nel progetto Deep Blue, ideato per la Call Lefranc Bourgeois (2020), hai realizzato una serie di lavori dove appunto il blu rappresentava ogni volta un significato e un’emozione diversa. Il tutto reso attraverso varie forme di linguaggio, che fuoriuscivano dai confini tradizionali della tela. Puoi raccontarci questa esperienza?
Mi è stata data la possibilità di poter sperimentare nuovi linguaggi senza limiti alla mia ricerca personale. È per questo che i lavori presentati erano diversi tra loro e spaziavano dalla pittura, all’installazione fino alla performance. Ognuno di loro raccontava una storia, un’emozione diversa che non poteva essere limitata in un unico supporto. Anche in quel caso, oggetti comuni prendevano tutto un altro significato e cercavano di far immergere chi li guardava in realtà estranee che erano più vicine a loro di quanto pensassero.
Quali sono gli artisti che hanno ispirato il tuo percorso artistico o ai quali ti ispiri attualmente?
Sicuramente nella storia fino a oggi, ci sono artisti che stimo particolarmente, come Max Ernst per la sua pittura visionaria e Jannis Kounellis per la sua sintesi artistica, e tanti altri. Parlerei quindi più di apprezzamenti perché ogni artista dovrebbe prendere ispirazioni dal proprio vissuto e da quello che lo circonda più che ispirarsi a un qualcosa di già fatto.
Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
Ricerco e sperimento costantemente. Sto lavorando a nuove tecniche per nuovi progetti per una mostra che ci sarà il prossimo anno.
Biografia: Lorenzo Pace nasce a Roma nel 1984 dove tutt’oggi vive e lavora. Da sempre materializza le sue idee attraverso carta e colore, come sfogo all’insoddisfazione di non vedere realizzati fantasie e pensieri. Lo studio del colore e l’utilizzo di supporti diversi sono alla base della sua ricerca, Pace è interessato a tutti quei materiali che assorbono, trattengono, catturano quello con cui vengono a contatto, come le spugne, che utilizza come fossero muri urbani.