Il valore dell’immagine fotografica rivista attraverso il linguaggio astratto del collage. Le opere dell’artista britannica Hannah Hughes si compongono di parti assemblate e decostruite per approfondire il senso di una moderna cultura visiva che appare più che mai frammentata e artificiosa.
Utilizzando materiale ricavato da libri, giornali, immagini pubblicitarie e addirittura cataloghi di aste, il lavoro della Hughes cerca infatti di ri-creare delle nuove forme speculari di altrettante immagini riprodotte, ma che trovano una collocazione analogamente concreta nel mondo materiale. Si tratta di un universo figurativo costruito per mezzo di un vero e proprio archivio di immagini raccolte nel corso di svariati anni, nel quale ogni collage viene poi montato, dissimulato, ricomposto e decorato per nascondere il soggetto originale e traslarlo in una nuova forma visiva. In questo modo le nostre percezioni acquisiscono un senso di realtà, o verità, che appare ingannevole, deformata, ma che al contempo ci viene svelata nel suo senso più concettuale e profondo. Questa ricerca appare in particolar modo nell’opera The Flatland Series, il cui titolo prende spunto dal romanzo Flatland: Racconto fantastico a più dimensioni scritto da Edwin A. Abbott e ambientato in un regno bidimensionale. Qui una nuova prospettiva spaziale bi-e-tridimensionale genera una tensione visiva mediante l’accostamento di aspetti dissonanti: composizioni lineari e scultoree, illusorie e verosimili, originali e decostruite. Parliamone con l’artista.
Il tuo lavoro si basa principalmente sulla pratica artistica del collage. Puoi parlarci di questa scelta e di quale approccio creativo utilizzi per la (de)-costruzione delle tue opere? In particolare, in che modo scegli il materiale fotografico da assemblare?
Inizialmente mi servivo del collage per creare degli schizzi da utilizzare per lavori con altri media, ma presto questa tecnica è diventata l’obbiettivo primario del mio lavoro. Ho cominciato a ritagliare e riassemblare gli spazi intorno agli oggetti e alle figure delle riviste, ai cataloghi d’asta e ai libri, quelli che vengono chiamati spazi-ombra “negativi” dell’immagine, che possono essere attivati visivamente quando sono posti in contrasto ad altre immagini fotografiche. Tutto questo si è poi trasformato nella serie di collages Flatland, che ha fornito la struttura di riferimento per esplorare idee speculative di trasformazione attraverso l’uso di immagini trovate usa e getta. Nei miei recenti lavori degli ultimi due anni, realizzo collages da nuove fotografie create ad hoc proiettando ombre di frammenti ritagliati da riviste. L’interazione di forme e processi positivi e negativi è il fulcro del lavoro. È un modo di guardare al nostro rapporto con lo spazio, chiedendoci come lo spazio è rappresentato nelle immagini, e come può essere manipolato attraverso l’alterazione fisica e l’immaginazione.
In questi ultimi anni la fotografia ha assunto all’interno della cultura digitale un ruolo sempre più prominente. Di conseguenza anche l’arte spesso si avvale di questo mezzo per sperimentare un nuovo vocabolario di forme visive che sembrano andare oltre i confini di spazio e tempo. Quanto dunque la fotografia incide sul tuo processo artistico?
Sono molto interessata alla maniera in cui le immagini esistono nella memoria sottoforma di frammenti, e di come ciò può essere correlato al modo in cui elaboriamo le immagini fotografiche negli spazi digitali. Il mio approccio è prima di tutto una risposta materiale alla fotografia, e coinvolge in maniera imporante la mano, l’atto del tagliare, del riorganizzare, e dello scoprire cosa succede quando un’immagine interagisce con un’altra. Inizialmente sono stata attratta dalle immagini fotografiche tramite le riproduzioni su libri e riviste, e il mio lavoro spesso risponde ai modi in cui l’immagine si trasforma attraverso vari processi di stampa e ripetizione.
Nelle tue opere le immagini vengono frammentate e trasfigurate, le linee si ripetono in maniera ossessiva ma mai identica, e le forme geometriche appaiono irregolari e astratte. Si tratta di oggetti decontestualizzati che sembrano dissimulare il loro stesso significato fisico e materiale, nascondendo e ricomponendo un universo concettuale che provoca nelle percezioni degli spettatori un senso di alterazione e spaesamento. Quale tipo di messaggio ed emozione cerchi di trasmettere con il tuo lavoro?
Mi piace qui il vostro riferimento alla dissimulazione – l’occultamento è la chiave per capire come funzionano i collages, creando sufficienti spazi vuoti nell’immagine che le permettono di restare attiva. Penso a tutto ciò come a una specie di agitazione che ha l’intento di creare delle immagini che appaiano costantemente in continuo mutamento. Sono davvero attratta dai modi in cui i musei conservano e mostrano frammenti del passato, e di come questi siano spesso presentati nel loro stato incompleto per farci riflettere sull’oggetto originale. Gli spazi vuoti possono essere più interessanti, laddove l’immaginazione si mette in moto. Il mio lavoro riconosce ampiamente l’impossibilità di gestire l’enorme quantità di immagini di cui fruiamo ogni giorno, e ne elabora il frammento come un ricordo, soggetto a fusione e revisione. Speriamo che trasmetta anche la sensazione che cose più interessanti possano accadere al di fuori del centro principale dell’azione, ai margini.
Nei tuoi lavori l’uso di colori tenui e pastello accentuano spesso un’inclinazione scultorea dell’oggetto. Di conseguenza le sculture sembrano assumere una posizione antitetica all’interno dello spazio, generando in questo modo una tensione percettiva tra il valore negativo dell’immagine originale e il valore positivo dell’immagine rielaborata. Quanto questo aspetto concettuale caratterizza la tua ricerca.
Fotografare le sculture implica decisioni riguardanti il punto di vista ottimale, ma spesso un aspetto bloccato appiattisce la scultura. Sono affascinata dall’impulso di guardare ciò che è celato dietro la fotografia, e lì si trova così tanta tensione (creata attraverso il rispecchiamento, l’inversione, la refrazione e la ripetizione) tra lo spazio positivo e negativo all’interno dell’opera, che permette di esplorare come muoversi o viaggiare attraverso l’immagine. Per esempio, recentemente ho realizzato una nuova sequenza di un più grande doppio collage (Tuck I,II and III, 2020). In questi lavori, un’immagine fotografica si incastra nella superficie dell’altra attraverso un taglio. Ciò deriva da un processo di riflessione sui bordi, sugli spazi vuoti, e dal desiderio di guardare cosa c’è dietro l’angolo, oltre al fatto di sottolineare zone dove un’immagine ne sostiene oppure ne nasconde un’altra.
Nel 2018 hai partecipato insieme ad altri artisti all’esposizione A Romance of Many Dimension alla London’s Sid Motion Gallery. Puoi parlarci di questa esperienza?
A Romance of Many Dimensions è stata una mostra di gruppo con artisti quali Abigail Hunt e Matthew Barnes. Il titolo dell’esposizione è stato tratto da Flatland: A Romance of Many Dimensions di Edwin A. Abbott, che ha anche fornito un punto di partenza letterario per il mio lavoro nella mostra. Tutte le opere presenti nell’esposizione mettevano in scena un confronto tra due e tre dimensioni, tra l’immagine piatta e la forma scultorea. Questa è stata la prima volta che ho mostrato una delle opere decorative murali accanto ai miei collage – si trattava di uno sfondo fotografico in vinile, stampato con un “motivo” non ripetuto di forme nere e bianche ritagliate da una serie di riviste. Il lavoro decorativo sul muro è stato un segno indicativo per i collage – molte delle forme sulla parete potevano essere anche ritrovate nelle superfici in rilievo di altri lavori in mostra. Sto continuando a sviluppare opere murali, lavorando con un insime di glifi che possono essere interpretati come un linguaggio o potenzialmente come una forma di annotazione.
Quali sono gli artisti che hanno ispirato nel tuo percorso artistico o ai quali ti inspiri attualmente?
Ce ne sono così tanti! Spesso faccio riferimento alle fotografie dello studio di Bracusi che rappresentano per me un’importante fonte d’ispirazione, in cui mi sono imbattuta per la prima volta in una libreria di seconda mano. Sono sempre stata interessata al suo lavoro, ma questa è stata la prima volta che ho visto un scultore definire l’importanza specifica del contesto che si crea tra le opere e lo spazio circostante attraverso la fotografia. Ci sono molti artisti a cui mi ispiro che hanno lavorato in vari modi con i collage e i frammenti, e di recente ho osservato le incredibili decorazioni in tessuto da parete degli anni ’70 e i collage di carta di stracci degli anni ’80 di Al Loving. L’identificazione del “femmage” (qualsiasi opera d’arte creata da donne attraverso l’assemblaggio di oggetti, così come il collage, il fotomontaggio, ecc.) di Miria Schapiro e Judy Chicago ha avuto un’importante influenza, ed è collegata al mio uso di materiali comuni simili a quelli trovati in casa, come le scorte di carta usata per fare riviste, oppure i cartoni per imballaggio di carta scadente nelle mie sculture e fotografie. Al momento sto esaminando gli esperimenti di Lygia Pape con il rispecchiamento e le forme positive e negative, e durante il lockdown mi sono messa a esplorare la serialità, la ripetizione e l’uso trasformativo dei movimenti quotidiani nei lavori dei danzatori e coreografi minimalisti Yvonne Rainer e Trisha Brown.
Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
Ho un nuovo lavoro nella mostra bipersonale a due ‘Gleaners’ con l’artista Olivia Bax alla Sid Motion Gallery di Londra. L’esposizione prende il suo titolo dall’abitudine di collezionare avanzi e include sculture, collage, e fotografie che fanno uso di materiali scartati. ‘Gleaners’ è disponibile online come catalogo durante il mese di Novembre e aprirà nel Regno unito dopo la fine del lockdown. https://www.sidmotiongallery.co.uk/
Biografia: Hannah Hughes (nata nel 1975) è un’artista che lavora con la tecnica del collage, la scultura, la fotografia manipolata e l’immagine in movimento. Si è laureata all’Università di Brighton nel 1997, e da allora ha partecipato a esposizioni nel Regno Unito e a livello internazionale. Come mostre collettive troviamo tra le altre: “Where One Form Began Another Ended”, (bipersonal) The Bakery Gallery, Vancouver, BC, (2016), “Concealer”, Peckham 24 Festival, curata da Tom Lovelace, Copeland Gallery, Londra, (2018), “A Romance of Many Dimensions”, Sid Motion Gallery, Londra, (2018); “The Office of Revised Futures”, Format Festival, Derby, (2019); “New Formations”, Catherine Edelman Gallery, Chicago, USA, (2020), “The State of Things”, curata da Rodrigo Orrantia, Landskrona Festival, Svezia, publicazione e mostra 2020/2022, “Super Flatland” curata da Paul Carey-Kent e Yuki Miyake, White Conduit Projects, London, 2020, e “Gleaners”, una mostra bipersonale con Olivia Bax alla Sid Motion Gallery, Londra, Novembre 2020-Gennaio 2021. Il suo lavoro è inserito in una pubblicazione sperimentale di Rodrigo Orrantia “Material Immaterial”, che ha incluso esibizioni al Cosmos, Arles e Offprint, Parigi. Le sue opere sono state pubblicate su FT Weekend Magazine, AnOther.com, Art Licks Magazine, RPS Journal, Trebuchet e British Journal of Photography, tra gli altri.