a cura di Valentina Biondini, appassionata di arte e letteratura
Il nome di Katy Castellucci risuona fragorosamente all’interno di Who’s Next? e dell’arte italiana del XX secolo. E’ stata infatti una tra le artiste più significative di quel gruppo eterogeneo di pittori attivi nella Capitale d’Italia tra gli anni ‘20 e ‘40 del ‘900 che va sotto il nome di Scuola Romana. Pittrice, ritrattista e tessitrice, ha rappresentato al meglio questa corrente artistica anticonvenzionale grazie a un’estrema sensibilità e a un gusto visivo poliedrico e originale. Il suo carattere schivo e inquieto si cela dietro l’incanto delle sue opere, che tanto hanno influenzato l’arte italiana di quel periodo.
Caterina (detta Katy) Castellucci nasce a Laglio, sul Lago di Como, nel 1905, ma negli anni ‘20 si trasferisce a Roma. Fin da giovanissima dimostra un talento artistico innato e uno stile del tutto innovativo. Nel 1926 si reca con la sorella Guenda a Parigi, dove rimane per due anni. Qui dapprima si interessa al mondo della danza, per poi trasferire i suoi ideali estetici nella pittura, dove riesce a coniugare la sensibilità e la sensualità del tocco pittorico a contesti semplici e quotidiani.
Tornata a Roma, entra in contatto con la cosiddetta Scuola Romana, attiva tra gli anni ‘20 e ’50 del ‘900, di cui fanno parte i più famosi Mario Mafai, Renato Guttuso, Alberto Zivieri e Francesco Trombadori. In questo periodo l’arte italiana si trova in una fase in cui sembra non avere confini nazionali, e dove gli scambi con Parigi sono frequentissimi. La Scuola Romana invece difende l’indipendenza dell’arte e, pur trattandosi di un movimento con stili diversissimi, cerca di realizzare un tipo di arte che si ponga in contrapposizione, o meglio, in alternativa a quella di chiara propaganda fascista. Al suo interno, infatti, si passa dal realismo di Antonio Donghi, ai mondi visionari di Mazzacurati, fino alla modernità di Scipione. Mentre gli elementi di continuità e affinità tra questi artisti si ritrovano nel legame profondo con la città di Roma, nel culto dell’antico, oltre che nella sperimentazione di una dimensione più intima, personale e diretta dell’arte.
Nel ’32 la Castellucci espone per la prima volta alla III Sindacale con due opere. Tuttavia la mostra che davvero segnerà il suo ingresso nel mondo dell’arte è la prima personale alla Galleria della Cometa nel 1936, in cui espone insieme ad Adriana Pincherle, sorella di Alberto Moravia. Tra le sue opere qui esposte, si segnala soprattutto il delicatissimo e famosissimo “Autoritratto” del ’35, oggi conservato al Museo della Scuola romana di Villa Torlonia. Negli anni ’40 la sua pittura si evolve, divenendo più animata e compatta rispetto alle prime e più sobrie composizioni degli anni ’30. Infatti il suo tratto acquisisce maggiore densità e si fa più mosso, le luci e le ombre divengono più accentuate, il rapporto tra le figure e l’ambiente appare più incisivo, i nudi sono impastati di luce, mentre le pennellate diventano più consistenti e sembrano conferire ai corpi una maggiore solidità e sensualità. Al contempo, nei paesaggi e nelle nature morte, le tinte di rosso, verde, azzurro e viola, nonostante rimandino ancora alle composizioni tonali di Mafai, denotano quanto la sua pittura stia progressivamente diventando sempre più solida ed elegante.
Negli anni del dopoguerra si dedica soprattutto all’insegnamento, prima a Modena, e poi all’Istituto d’arte applicata di Roma. Segue una fase neocubista, che deriva principalmente da un’infatuazione generalizzata di gran parte degli artisti italiani per questo movimento Le opere che ne scaturiscono mostrano quanto l’artista proceda in modo originale, per semplificazioni, tagli netti e colori essenziali, oltrepassando in qualche modo la polemica tra realisti e astrattisti che in quel periodo agitava il mondo dell’arte italiano Alla fase neocubista seguono alcuni tentativi astratti più sperimentali, ma creati senza reali intenzioni espositive. I temi più frequenti della sua eterogenea produzione artistica sono i fiori, dipinti con la tecnica della gouache, e dalle tonalità dense e luminose. Seguono poi i ritratti, i paesaggi, gli autoritratti, le nature morte, i nudi femminili e le composizioni astratte degli ultimi anni. Nei ritratti e negli autoritratti l’immagine è sempre ravvicinata, come se fosse una presenza vivida, e per questo non fissata sulla tela, con cui il dialogo rimane ancora aperto. Inoltre le espressioni denotano una considerevole attenzione alla psicologia del soggetto.
Capitolo a parte sono invece gli autoritratti. In queste opere la Castellucci si rappresenta con occhi grandi, scuri e penetranti, ma in pose sempre diverse. E, in alcuni casi, questi primi piani sono caratterizzati da colori caldi e vividi. In altri, da tonalità più fredde e grigie. Questa varietà tonale e plastica degli autoritratti sintetizza gli aspetti mutevoli del suo carattere: dalla malinconia, al desiderio di celarsi dietro travestimenti e trucchi, fino a immagini femminili familiari e domestiche. Bisogna fra l’altro ricordare che la pittrice dipingeva direttamente, senza disegno preparatorio. E’ per questo motivo che nella plasticità della figura, resa attraverso il colore, gli occhi sembrano fissare lo spettatore e incatenarlo alla scena, richiamandolo in atmosfere femminili e malinconiche proprie dell’universo interiore dell’artista. D’altra parte è proprio il colore l’elemento essenziale di tutti i suoi dipinti. L’uso del colore va, infatti, al di là dei puri rapporti tonali e, attraverso le sue stesure dense e piatte, raggiunge una qualità compositiva nell’impianto, oltre a una precisa vocazione formale.
Conscia dei profondi mutamenti che attraversano la pittura, dalla fine degli anni ’50 Katy Castellucci riduce il suo impegno in quest’ambito e, nonostante continui a essere invitata alle mostre, rinuncia a parteciparvi. La stima di cui ormai gode tra i colleghi e i riconoscimenti da parte della critica non la fanno desistere dalla sua scelta di abbandonare il mondo della pittura. In realtà non sono note le ragioni precise che le fanno prendere tale decisione. Certo non dobbiamo dimenticare che per una donna l’ambiente della pittura fosse un luogo difficile in cui affermarsi. Tuttavia, è possibile che l’artista fosse ormai convinta di proseguire il suo percorso, andando oltre un’esperienza in cui reputava di aver già dato tutto il suo meglio.
L’insegnamento diventa così la sua attività principale. Parallelamente non manca però di sperimentare e di mettere alla prova la propria inesauribile fantasia creativa. Di lì a poco fonda, infatti, la sezione di “disegno su tessuto” e inizia a occuparsi anche di scenografia e costumi teatrali. Se la pittura viene accantonata senza rimpianti, i disegni invece accompagnano la sua carriera artistica fino alla fine della sua vita, ossia fino a quando l’artista si spegne, a Roma, all’età di ottant’anni, nel dicembre del 1985.
Moltissimi sono appunto i suoi disegni di grande qualità, i quali fra l’altro possono esse considerati autonomi dalla pittura stessa. In questi lavori il tratto sfumato e ombreggiato dei primi anni, pur con continue variazioni, diviene via via più incisivo e vibrante, fino a raggiungere una linearità essenziale. Inoltre, la sua sorprendente intelligenza creativa e il suo buon gusto, la spingono a cominciare a disegnare anche per le case di moda, realizzando scarpe, borse e oggetti di arredo. Un’artista eclettica e talentuosa dunque, che, pur adottando forme, medium e stili sempre diversi, non ha mai smesso di dedicarsi all’arte. Il suo approccio è stato a volte eclatante, a volte più sommesso. E il suo percorso, fatto di continue e inedite sperimentazioni, ha sempre espresso il proprio variopinto ed eterogeneo mondo interiore.