a cura di Margaret Sgarra, curatrice di arte contemporanea
Artista, calligrafa e grafica, Chen Li ha fatto della parola il fulcro della sua ricerca artistica. Lettere, segni e colori danno forma a un immaginario complesso nel quale si incontrano poesia, riflessione e creatività. In una società dove l’immagine sembra avere un’importanza maggiore rispetto ai contenuti e dove la grafia sembra essere sostituita dal digitale, Chen Li attraverso le sue opere ne protegge l’essenza visiva e la straordinaria bellezza.
I tuoi lavori hanno come protagonista indiscussa la grafia. Quando hai capito che saresti diventata una calligrafa e cosa ti ha portato a prediligere questa dimensione artistica e non altre?
Nel periodo dell’università, nel 1994, ho cominciato a studiare i caratteri grafici. Contemporaneamente ho visto il lavoro di grandi maestri calligrafi contemporanei: Jean Larcher e Bernard Arin in una mostra dedicata al Bicentenario della Rivoluzione Francese. Lì ho capito che volevo lavorare a mano, e che questo era alla mia portata. Mi ero preparata tutta la vita a quell’incontro. Amavo infatti leggere, scrivere, disegnare e l’arte. Inoltre mia mamma mi aveva insegnato la scrittura cinese.
In una società sempre più satura di stimoli visivi e audiovisivi, l’essenza della calligrafia sembra avere un ruolo più marginale. Secondo te, perché è importante riappropriarsene e diffonderla?
Non so se sia importante per tutti, anzi forse la scrittura non è mai stata interesse di tutti. Tuttavia è importante che qualcuno, anche solo una minoranza, ne prosegua lo studio e la preservi dall’oblio. La calligrafia richiede tempo, fatica, abnegazione e disciplina, ma anche amore: qualità rare. Proprio per questo potrebbe scomparire ed essere un’altra di quelle cose del passato di cui si studia solo nei libri e che nessuno ricorda. Come ad esempio la scrittura degli antichi egiziani, conosciuta come geroglifici e la sua lingua parlata, o la lingua etrusca: tasselli dell’umanità che sono andati perduti perché ritenuti a suo tempo inutili da qualcuno. La scrittura e le sue regole sono connesse a una lingua. Lo sanno bene i cinesi che non hanno mai rinunciato alla scrittura, anche se risulta complessa in un mondo così veloce. Lo sanno gli ebrei, perché la loro identità sta nella parola e nella loro scrittura, e perché in essa c’è il loro passato ma anche il loro senso di popolo. Lo sapevano gli amanuensi dei monasteri medievali, che hanno copiato pazientemente testi antichi ritenuti fondamentali (sia il contenuto che la forma) perché altri ne potessero avere memoria.
Nel tuo percorso di artista hai collaborato a progetti molto differenti gli uni dagli altri, alcuni dei quali hanno dato forma a opere d’arte, mentre altri hanno a che fare con la grafica vera e propria. Tra questi ricordiamo la creazione del lettering del titolo e dei titoli di testa di “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino. Come nasce un progetto di questo tipo e come si sviluppa?
Un progetto nasce dal dialogo con un eventuale committente per capire che cosa questi si aspetta da me e dal progetto. Ho lavorato per molti anni con importanti art directors, con i quali ho instaurato rapporti di collaborazione duratura. Questa esperienza mi ha conferito le competenze e la conoscenza tecnica necessaria per ogni progetto. Nella progettazione artistica ho avuto molti maestri: dai curatori agli artisti internazionali che ho incontrato nei miei viaggi e nelle residenze in vari paesi. Parlare con loro, vederli all’opera, mi ha insegnato a comunicare, a superare le paure e l’ignoto. Con Luca Guadagnino ci siamo incontrati in un momento di grande creatività per me. Stavo progettando un ciclo di laboratori con la Fondazione Prada ed ero proiettata su cose grandiose, senza limiti di creatività. Luca è un art director prezioso, curioso e sensibile. Ha saputo dirmi cosa voleva, e ciò non è da tutti. Da lì il lavoro è diventato semplice. Prove su prove con il solo obiettivo di fare un capolavoro insieme. E se ognuno lavora bene, il risultato non tarda a venire. E’ stato anche un grande successo perché il regista ha applicato la cura e il suo gusto su tutti e su tutto.
Cosa pensi dell’arte contemporanea e chi sono gli artisti a cui ti sei ispirata maggiormente nel corso della tua carriera?
Mi interessa molto l’arte contemporanea. Infatti ho cercato un approccio solo contemporaneo al mio lavoro: andare avanti, rischiare, sperimentare, non guardarsi indietro. Questo anche se le regole dell’arte contemporanea sono spesso contrastanti con le mie scelte pratiche. Negli anni ho seguito e studiato gli artisti che mi colpiscono e nei quali mi riconosco. Da Bruce Nauman per il suo interesse per la parola e il corpo, ad Ai Wei Wei per il suo amore per la Cina e il suo linguaggio provocatorio nella forma e nei contenuti, da Giuseppe Penone per il suo interesse per la natura, a Cesare Pietroiusti per la sua immaterialità, fino a Olafur Eliasson per la magia.
All’interno del tuo studio si possono vedere lavori di varia natura che spaziano dalle opere a parete quasi minimali fino alle installazioni polimateriche tridimensionali. Come scegli i materiali delle tue opere e quali sono quelli che preferisci?
I materiali per le opere dipendono dal messaggio che voglio trasmettere. Il materiale, infatti, è uno strumento. Quando progetto penso molto e mi arrivano delle immagini che cerco di rendere materia. Ho lavorato con la carta, il gesso, le plastiche, le resine, il legno. Non ho un materiale preferito, mi interessano tutti, ma non voglio che la materia diventi un ostacolo. A volte la scelta dipende dalle richieste del curatore/curatrice, dal luogo espositivo, dal committente, dal budget.
Come da te recentemente affermato, parallelamente all’attenzione che riponi nella scrittura, nella tua ricerca artistica è presente una connessione profonda e significativa con la lettura di saggi e testi. Puoi raccontarci che peso ha la letteratura all’interno del tuo lavoro?
Fin da quando ero piccola sono stata una grande lettrice. Tutto nasce dalla parola per me: la parola è evocativa di immagini e contenuti universali che fanno parte della mia vita in modo profondo. A volte copio dei testi, ma non è un lavoro estemporaneo. Sono testi che conosco a memoria da molti anni, che negli anni ho riscoperto con studi approfonditi ed esperienze di vita, e che penso possano inserirsi in alcuni miei progetti. Il testo non è uno strumento: è l’inizio.
Quali sono i tuoi progetti per il 2023 e dove ti porteranno?
I miei progetti per il 2023 sono molti. Sicuramente il mio grande progetto per i prossimi anni è quello sulla poesia cinese e sulla lingua cinese, che sto studiando da molti anni. Leggere la poesia e studiarla mi ha permesso di sviluppare una certa preparazione così da avere meno difficoltà nell’affrontarla. Un altro impegno che ho preso è quello relativo all’arte relazionale insieme con un’associazione di cui faccio parte, “Forme in bilico”. Si tratta di progetti legati al fare in modo plurale, pratiche artistiche non tipiche in collaborazione con soggetti diversi. Da queste idee nascono mostre, laboratori, idee, contatti, oltre alla possibilità di formare persone. Per altri progetti, invece, non posso ancora dire nulla, ma vi terrò informati sui miei canali social. Mi piacerebbe tuttavia ricevere proposte da curatori internazionali, perché ogni volta è nato qualcosa di bello.