a cura di Romina Ciulli e Carole Dazzi
L’universo artistico di Savina Capecci è fatto di colori accesi e potenti, e racconta delle storie collegate alla società contemporanea attraverso una prospettiva ironica, se non addirittura irreale. Nelle opere dell’artista italiana, infatti, i protagonisti sembrano vivere un’esistenza distaccata all’interno di un immaginario che rimane sempre sospeso tra due dimensioni: quella esperienziale e quella naturale.
Uno spazio nel quale il significato del vivere viene indagato in tutti i suoi aspetti più ambigui e disorientanti, alla ricerca di una reazione emotiva che sia capace di generare non solo un nuovo equilibrio tra l’uomo e la natura, ma soprattutto un nuovo anelito di speranza. Il rapporto uomo-donna, l’incomunicabilità, la dualità, i sentimenti di attesa, i concetti di ambiguità e armonia, sono tutte tematiche che si ritrovano nei suoi lavori, da The Alchemist’s Garden (2020), a The Noisy Silence of The Untold (2020), a In What If We Were The Ocean And Not The Waves? e altri ancora. Parliamone con l’artista.
The Alchemist’s Garden (2020) è un’opera caratterizzata da un’ambiguità ricorrente e dualistica. Tutta la composizione è giocata su un’apparenza rassicurante, che trova, al contrario, il suo “sommovimento” emotivo nel concetto alchimistico della trasmutabilità: due donne simili ma dissimili, un abito fiorito con un risvolto geometrico, e una distesa di fiori che nasconde segnali di pericolo. Puoi raccontarci come è nato questo dipinto?
Questo lavoro è nato da un bozzetto realizzato mentre mi trovavo in residenza a Salisburgo per una masterclass di pittura alchemica alla International Summer Academy, durante un momento di pausa e cambio posa delle modelle. Il lavoro ha preso forma successivamente nel mio studio fino a dare titolo alla mostra personale “Il Giardino delle Alchimiste” realizzata nell’ autunno 2020 al Museo civico di Storia Naturale Silvia Zenari di Pordenone, a cura di Fulvio Dell Agnese. Questo titolo è divenuto un messaggio di speranza affinché’ possa sbocciare una nuova armonia tra la natura e l’umanità. Ogni mia tela invita a una seconda lettura, cioè a un secondo livello di interpretazione: per esempio l’abito fiorito, se lo si osserva da vicino contiene fiori tripetali simboli di pericolo di radiazioni.
Il tema dell’incomunicabilità tra uomo e donna viene invece enfatizzato in The Noisy Silence of The Untold (2020). Qui ci sono due manichini acefali colti in una conversazione silenziosa, o meglio in un non dialogo, privo di parole, che turba e spiazza lo spettatore per la sua inafferrabilità In che modo hai reso stilisticamente questa difficoltà a comunicare?
Le braccia si atteggiano, i polsi si flettono, ma i due nulla riescono a dirsi. La loro assenza di dialogo viene enfatizzata dal taglio fotografico dall’alto, con i piedistalli che segnano i limiti di un’immobilità da pedina, fuori da ogni reale comunicazione. E il fondo oro è creato dalle diagonali di un pavimento, sul quale le forme rimangono al contempo fisse e sospese.
Un’altra tematica ricorrente della tua ricerca è quella dell’attesa. In What If We Were The Ocean And Not The Waves? (2020), per esempio, o in Total Eclipese Of The Mind (2019), fino a Waiting For (2017), lo sguardo dello spettatore si immerge in scene di apparente normalità, che sottendono aneliti di trasformazione. Si tratta di uno status appunto di attesa che, tuttavia, rimane sospeso tra la speranza e l’instabilità. Credi che questo sentimento influenzi anche il tuo processo creativo?
Sicuramente ha una qualche influenza sul mio processo creativo, del resto in ogni opera di un artista vi è un pezzetto della sua anima, un momento della sua vita e di quella collettiva.
In Total Sale (2019) invece viene indagato il rapporto tra l’arte e la società consumistica. Puoi parlarcene?
Questo lavoro si ispira a una fotografia che feci durante la liquidazione totale di un grande magazzino di abbigliamento, durante il quale furono messi in vendita anche i manichini e l’arredo. E ho immaginato questa scena: cinque manichini rimasti in vetrina. Quattro paia di gambe rimangono fissate nella posa di una sfilata ormai inutile. Anche se i colori, saturi, sembrano ancora impregnati della luce dei riflettori, il pubblico pagante non c’è più. La collezione è “sold out” e, sui loro piedistalli d’ambra, le crisalidi di uomini e donne si avviano a divenire, nell’ottica di una “svendita totale”, l’estremo oggetto commerciabile. È solo l’immagine di un corpo a essere svenduta? O l’arte stessa si ritrova a stringere compromessi con la società di cui è espressione? Forse lo sa l’unico manichino a figura intera, che con un disincanto profondamente umano indirizza lo sguardo verso un fuori campo.
La dualità nelle tue opere rappresenta un aspetto che si lega non solo al concetto di ambiguità, ma anche alla rappresentazione di valori dai confini non più definibili, impersonati per lo più da figure femminili. Come in Imperfect Like Pure Amber (2017), dove due donne caratterizzate da contorni metafisici evocano riflessioni insolite ed enigmatiche. In che modo l’immagine pittorica afferra la complessità della realtà?
Nell’ opera “Imperfect like pure Amber” l’immagine rappresenta un doppio: due donne che si sfiorano la mano con un velo di eros, oppure la stessa donna che cela dentro di sé un conflitto di identità. Come in un pezzo d’ambra, a cui le impurità conferiscono maggiore valore, i concetti di perfezione e di purezza assumono contorni ambigui, e forse non bastano più a definire un orizzonte di vita.
Nella serie di dipinti intitolata “The Transgenic Attack” (2014-2017) esplori, invece, il rapporto tra l’essere umano e la natura. Puoi parlarcene?
Nel progetto pittorico “The Transgenic Attack”, che tratta il tema del cibo geneticamente modificato OGM, immagino con ironia apparente il momento in cui la Natura, umiliata e modificata dall’uomo, decide di prendersi la sua rivincita prendendo possesso dei corpi di una moltitudine di esseri umani terrorizzati attraverso una sorta di mutazione genetica creando così degli ibridi transgenici.
L’ambiguità ritorna ancora nell’opera Fragile Balance (2020), dove la violenza sulle donne viene espressa attraverso la tensione creata da una sciarpa rosa che avvolge i due partner. Com’è nato questo lavoro?
Ho affrontato questo tema in diverse opere. Questo dittico in particolare e’ stato realizzato durante la pandemia. Il lockdown è un prezzo elevato che alcune donne hanno dovuto pagare, costrette a casa con un partner violento, che ha influito soprattutto sul loro equilibrio fisico e psicologico. Sulla tela l’ambiguità tra cura e violenza sta nella tensione di una sciarpa rosa fluo che avvolge i partner, e nell’imminenza di un abbraccio o di un probabile schiaffo. Questo lavoro fu selezionato per una mostra intitolata “See you tomorrow” che si e’ tenuta nel 2021 a Venezia presso Palazzo Dona’ Brusa (a cura di a.topos). E successivamente per il progetto espositivo “Kunst trotz gewalt” (L’Arte sfida la violenza) a Salisburgo in Austria.
Ci farebbe piacere che ci parlassi del tuo contributo alla mostra “Kunst trotz gewalt” a Salisburgo.
Mi ha fatto piacere contribuire con i miei lavori “Fragile Balance” e “Total Sale” al progetto espositivo “L’ Arte sfida la violenza” 2021, a cura di Hildegund Amanshauser, Andrea Kopranovic e Martina Pohn e promosso da Frauennotruf Salzburg e Gendup, presso la galleria Fotohof, a Salisburgo. A ottobre 2022 si è svolto un evento conclusivo in cui i lavori delle 23 artiste internazionali selezionate da una giuria (dipinti, foto video and testi), sono stati esposti anche in una proiezione pubblica sugli edifici del piazzale della galleria Fotohof.
Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
Tra i miei progetti imminenti c’è il trasferimento in uno studio più ampio, che mi permetta di esprimermi anche su formati più grandi. Un altro progetto è la realizzazione di una mostra personale con i lavori creati tra il 2020 e il 2022, che fanno parte di un progetto che vorrei intitolare “Dancing with uncertainties”. Ultimo, ma non per importanza, mi piacerebbe iniziare una nuova collaborazione con una galleria attiva che sostenga, promuova e soprattutto condivida il mio lavoro, perchè’ la condivisione per me è fondamentale.